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Nella scorsa stagione, il Milan ha vissuto uno dei momenti più travagliati della sua storia recente. Reduce da uno scudetto, un altro titolo perso sul filo di lana e, successivamente, un terzo posto agguantato con i denti (e con fortuna), il campionato 2013-2014 ha segnato l'inizio di un periodo davvero nero: il burrascoso cambio in panchina tra Allegri e Seedorf non ha prodotto gli effetti sperati e la squadra, dopo un più che dignitoso girone di ritorno, ha sfiorato la qualificazione in Europa League, rimanendo però fuori dalle competizioni europee dopo 16 anni. Questa stagione, il 2014-2015, nelle intenzioni della proprietà, avrebbe dovuto rappresentare il campionato del riscatto. Invece, la storia non è cambiata. Anzi. Il tifoso freme, frigge, e pretende di vedere presto un altro Milan. Questi i principali 3 motivi:
1) Nulla è cambiato: La stagione era iniziata con i soliti proclami. “Una squadra come il Milan deve andare in Champions League”, “Siamo da terzo posto”, “Lotteremo fino alla fine per l'Europa che conta” e potremmo proseguire all'infinito. In realtà, al di là di tante belle parole, nulla è cambiato rispetto l'anno passato. Inizialmente, il Milan ha volato sulle ali dell'entusiasmo causato dall'arrivo dell'idolo Filippo Inzaghi sulla panchina: un paio di buone prestazioni nelle prime giornate, contro Lazio e Parma, corredate da vittorie convincenti, avevano illuso la piazza. Poi, Inzaghi si è perso, per via della sua inesperienza e di errori di gioventù, mentre, al contrario, la dirigenza, dopo un girone d'andata tutto sommato insoddisfacente (con le uniche 'perle' di un pari nella Roma giallorossa e di un 2-0 interno al Napoli) ha continuato a perorare la causa del “Siamo da Europa” anche mentre la barca, lentamente e mestamente, ha cominciato ad affondare. Dopo 23 partite, sono soltanto 7 le vittorie rossonere, a fronte dei 9 pareggi e di ben 7 sconfitte: una marcia non proprio da squadrone di storia e tradizione europea. La verità è che si sentono da mesi gli stessi ritornelli, ma l'impressione è che, prima che sul mercato, tagli dolorosi e cambiamenti radicali vadano apportati nelle alte sfere.
2)Squadra non il massimo, ma non così male: Ad agosto Galliani ha consegnato, nelle mani di Inzaghi, un Milan molto diverso rispetto a quello visto nel campionato precedente. Via i riottosi Taarabt e Balotelli, le zavorre Robinho e Constant, la bandiera Kakà, e spazio al portiere del Real Madrid, Diego Lopez, il prezioso jolly Bonaventura, il talentuoso Ménez ed il colpo Fernando Torres. Una campagna acquisti che aveva, diciamo la verità, convinto la tifoseria e fatto sperare in un salto di qualità della squadra per riconquistare le posizioni che le competono. Invece, se singolarmente (eccezion fatta per Torres), i nuovi arrivati non hanno deluso le attese, è stato il gruppo intero a non rendere sul campo, tanto da scivolare gradualmente dalle zone alte verso il centro della classifica. Demerito, questo, dell'allenatore, che non è mai sembrato in grado di imprimere una svolta alle partite, che si è ostinato ad applicare una sola filosofia di calcio al suo Milan (difesa ad oltranza e contropiede nella speranza di far male), ed incartatosi in dualismi che non hanno di certo giovato alla serenità della squadra, quali quello tra Abbiati e Lopez, Alex e Rami, ma soprattutto Ménez e Torres (o Pazzini). A gennaio, quindi, visti anche i numerosi infortuni, Galliani è corso ai ripari, portando a Milanello un ottimo terzino sinistro, Antonelli, in un ruolo dove il Milan è da anni scoperto, quindi Paletta e Bocchetti per rinforzare la retroguardia nel pacchetto dei centrali, Suso per assicurare un briciolo di fantasia in mezzo al campo, e gli agognati Cerci e Destro per qualità, gol e grandi giocate sotto porta. A conti fatti, ora, la squadra non è il massimo, ma nemmeno così male. Vale sicuramente più di Lazio, Sampdoria, Genoa, Palermo, Torino che la precedono in classifica, e non è inferiore nemmeno all'Inter, avanti di soli 3 punti dopo una campagna acquisti invernale altrettanto faraonica. Spetta a Inzaghi ora farla decollare, altrimenti si consumerà tra qualche mese un addio piuttosto doloroso.
3)Tifosi e storia meritano rispetto: Il tifoso medio rossonero è molto competente della materia. Conosce alla perfezione pregi e difetti della propria squadra, e capisce quali possano esserne le reali ambizioni, anche al di là dei spesso folkloristici proclami dirigenziali. Il tifoso del Milan sa benissimo che, nonostante si senta sovente dire “Abbiamo Abate e De Sciglio, i due terzini della Nazionale”, con un pacchetto di centrali quali Zapata, Zaccardo, Bonera e il folle, incostante, Mexes, non si può certo pretendere di avere una difesa di caratura internazionale per fronteggiare le corazzate europee. E sa benissimo che, affidandosi in mezzo al campo, in un nugolo di mestieranti del calcio agli stinchi (Essien, Muntari, per citarne un paio) al solo Montolivo per la costruzione del gioco, la squadra non può naturalmente produrre una manovra così fluida. L'attacco, forse, è il reparto dove il Milan abbonda in qualità ed intercambiabilità, ma se dietro non si preserva e non si crea, davanti non si finalizza. Ça va sans dire. I tifosi del Milan, la storia del Milan, meritano rispetto. Rispetto totale. In nome del fair play finanziario, e di un giusto ridimensionamento del calcio italiano dopo le ere delle spese folli, si può accettare di buon grado di viaggiare con un profilo basso, ricostruendo dalle basi, dai giovani, da gente forte e motivata, una squadra che possa tornare a competere presto in Italia ed anche in Europa. Ma ci vuole onestà intellettuale, ci vuole coraggio. Senza proclami, senza bugie. E forse solo così si tornerà a vedere un Milan, magari non da subito vincente, ma senza dubbio entusiasmante.
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