archivio2015

F. GALLI: “Vi spiego cos’è il modello Milan”

Donato Bulfon

Il responsabile del settore giovanile del Milan, Filippo Galli, a iamcalcio.it, ha illustrato il metodo di alvoro del vivaio rossonero

Il responsabile del settore giovanile del Milan, Filippo Galli, a iamcalcio.it, ha illustrato il metodo di lavoro del vivaio rossonero: "Il nostro modo di lavorare segue dei dogmi ben precisi ma, ovviamente, abbiamo imparato molto da chi fa del settore giovanile un punto di forza parlo di Barcellona e Ajax. Questi due team fanno giocare oltre il 50% di giocatori provenienti dai loro vivai, mentre le squadre italiane non vanno oltre al 10%, il che fa riflettere. In Italia, ogni allenatore ha la sua squadra ed i club non danno indicazioni ben precise rispetto ai principi, ai valori ed alla filosofia da seguire, mentre all'estero è proprio la ricerca dell’insegnamento della coerenza e della continuità intesa come educazione dei giocatori insistendo sugli stessi principi individuali e di squadra, partendo dai più piccoli fino ad arrivare ai più grandi. Al Milan siamo cercando di portare questo metodo di lavoro per creare un sistema e far si che un allenatore non veda il settore giovanile come la ‘sua’ squadra, ma come un gruppo di giocatori che rappresentano il patrimonio del club. L’obiettivo del Milan è quello di concentrarsi non solo sull’aspetto tecnico o atletico, ma anche mentale e psicologico, anche se questo cambiamento in Italia può far paura, è necessario. Il nostro è una sorta di progetto pilota con il fine di arrivare a creare un sistema attraverso il quale si possano formare giocatori e uomini. Arrivando a parlare di ciò che vediamo sul campo, mi viene in mente una frase del nostro Presidente che, durante il suo insediamento disse: ‘Il Milan deve essere padrone del campo e del gioco’. La conclusione del discorso fatto finora è che il nostro scopo sul campo è quello di essere in possesso palla e ciò implica prendere delle decisioni e fare delle scelte, e tutti i nostri giocatori devono farlo per essere parte del gioco. Concretamente credo che oggi sia sbagliato considerare una tattica vincente quella del pressing, che non è nient’altro che una tecnica difensiva. Questa è un’altra grossa differenza col calcio del resto d’Europa, da noi si insegna a gestire la situazione quando la palla ce l’hanno gli altri e non viceversa. Io ho lavorato con Arrigo Sacchi, giocavamo con un pressing offensivo, nella trequarti d’attacco, basato su movimenti del non possesso, quindi la fase del controllo del pallone era una semplice conseguenza. Tornando al presente, è vero che mettiamo a nudo le difficoltà dei ragazzi, comunque aiutati a reagire agli errori; sappiamo che sarebbe più facile calciare il pallone a 40/50 metri e salire, ma io credo che un giocatore che è passato attraverso il nostro calcio sia agevolato per il suo futuro quando dovrà affrontare avversari di livello, dentro e soprattutto fuori dai confini italiani. Ovviamente ciò che ci facilita molto è la possibilità di avere a disposizione i video da analizzare al termine delle nostre partite, ad esempio noi riteniamo azioni conformi al nostro stile di gioco solo quelle in cui ci sono almeno 7/8 passaggio e sono coinvolti 8/9 giocatori ed è facile comprendere che vivendo la partita da dentro al campo sia abbastanza difficile notare queste e molte altre cose”.