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MILAN, ci risiamo: dov’è la personalità?

Renato Boschetti

Il Milan continua a non convincere: ennesima prova negativa e di scarsa personalità: se i rossoneri vanno in svantaggio, non regiscono e perdono sempre...

Alzi la mano chi all’indomani della gara vita contro la Lazio non aveva seriamente creduto ad una stagione, finalmente, ad alta quota. E, francamente, nell’ormai proverbiale “carro del vincitore” costruito con l’effige di Mihajlovic ci eravamo accomodati tutti molto volentieri e senza alcuna vergogna; anzi, non senza un fondo di ragione in quanto la prestazione dell’Olimpico sembrava aver fatto emergere quell’elemento caratteriale che tutti gli allenatori dichiarano di ricercare nei propri giocatori quasi fosse il “Sacro Graal”: la personalità. Cosa si intenda, nello specifico, con questo termine è probabilmente ignoto persino a quelli che se ne riempiono la bocca. Sembra quasi di parlare del famoso “Amalgama” del mitico presidente del Monopoli Pasquale Bellomo:“Dimmi Gigi (nome del giornalista) in che squadra sta' Amalgama che lo compero!”. Allora, anche in questo caso, cerco aiuto nel Dizionario della Lingua Italiano che così recita: “L’insieme delle caratteristiche individuali, non fisiche, che in quanto tali costituiscono o conferiscono motivo di integrità o di distinzione”. Ecco la parola chiave: distinzione. Chi ha personalità, si distingue. Se non sai distinguerti dagli altri, ne sei privo. Facile.

Se rileggiamo le dichiarazioni di alcuni giocatori del Milan alla vigilia della sfida di Torino, sorge il dubbio che anche a loro il concetto non sia molto chiaro. Prendiamo, ad esempio, l’intervista rilasciata a “La Repubblica” da Giacomo Bonaventura (che resta, peraltro, quello che dimostra di esserne maggiormente dotato): “Oggi abbiamo una bella mentalità, che sta portando risultati. Siamo più liberi di testa, senza blocchi di insicurezza: Mihajlovic ha fatto un ottimo lavoro per annullarli”. Ci si può liberare dei blocchi di insicurezza solo se si ha personalità. Ma può esserci personalità senza qualità? Bisogna infatti stare attenti a non confondere personalità con buona volontà. Con la personalità, abbiamo detto, ci si distingue; mentre con la buona volontà si galleggia, si sopravvive. Ogni tanto si vince pure. Ma non si fa la differenza, non si fa la storia. O, più banalmente, non si portano a casa i tre punti dallo Juventus Stadium.

Dopo la prestazione paurosa, timida, impalpabile contro una delle Juventus più mediocri degli ultimi anni, il dubbio appare più che lecito. Siamo condannati alla mediocrità figlia della sola buona volontà? O in questa squadra esistono valori tecnici, umani, caratteriali da far emergere e che, fino a questo momento, sono rimasti ancora sullo sfondo e che qualche volta hanno fatto, timidamente, capolino? E Mihajlovic è l’allenatore giusto per far venir fuori queste presunte qualità, così ancora ben celate?

Leggiamo il calendario: Sampdoria, Carpi, Verona, Frosinone, Bologna. Bene e allora: “Se non ora, quando?”. Trattandosi di calcio, scomodare Primo Levi appare quanto meno avventato. Ma resta il fatto che la domanda appare obbligata. Quasi come rileggersi le pagine di quell’immenso scrittore. Magari tra una partita e l’altra.

Matteo Forner