Terza e ultima tappa della nostra inchiesta sulla crisi del Milan. Dopo i capitoli dedicati a e e il turno dei giocatori, anche loro decisamente responsabili dell'accaduto.
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MILAN, PROCESSO AI GIOCATORI: E’ TEMPO DI SVEGLIARSI
Ménez? Irriverente, con i suoi colpi di tocco senza cognizione di causa e le azioni intestardite a sbattere contro il muro avversario anche quando non è palesemente in giornata. De Sciglio? Il novello Maldini, oltre ad essere sempre infortunato, indovina una partita decente su cinque, di media. Montolivo? Ha tutte le attenuanti del rientro da un grave infortunio, ma, pur giocando sempre, non riesce a ritrovare fiducia, ritmo ed il piede 'caldo' che lo ha da sempre contraddistinto. El Shaarawy, Honda, e, adesso, Cerci? Concepiscono un unico movimento di base: rientro sul piede forte giocando sul versante opposto. Ma di spunti vincenti, se ne vedono con il lanternino.
La lista potrebbe proseguire all'infinito: Zapata-Mexes con le loro impagabili amnesie difensive, De Jong, sottotono rispetto al solito guerriero ammirato per due anni in maglia rossonera. Si salvano, a stento, forse, nell'ennesima stagione disgraziata di questo Milan, appena Diego Lopez e Bonaventura, quasi mai sotto la sufficienza. Fermo restando le numerose colpe dell'inesperto Filippo Inzaghi nel ruolo di allenatore, va sempre ricordato come in campo, a difendere i colori del Milan, vadano i giocatori. E sono loro, in questo tribolato inizio di 2015, la delusione maggiore. La squadra non dimostra personalità (basti pensare come, nel 2012, dopo l'addio in massa di tutti i senatori le redini dello spogliatoio siano passate in mano a Bonera …): quando va in vantaggio, si siede. E subisce. Quando va sotto, non riesce a reagire. E subisce, il doppio. Tutto ciò, unito alla troppa superficialità di molti dei suoi elementi sul rettangolo di gioco, confeziona il triste spettacolo al quale il pubblico di San Siro, ma non solo, è costretto ad assistere da 12 gare a questa parte.
Altro tallone d'Achille di questo gruppo, la continuità. Ad un paio di prestazioni definibili positive, non ha mai fatto seguito la terza. Questo lo si era già capito dal primo mese di campionato, dove dopo l'esordio sorprendentemente convincente contro la Lazio, ed il bis dopo la sosta contro il Parma, era arrivata la sconfitta contro la Juventus ed i pareggi contro Empoli e Cesena. Recentemente, al buon pareggio dell'Olimpico contro la Roma, ed il successo illusorio interno contro il Napoli, che sembrava aver riammesso decisamente i rossoneri alla corsa al terzo posto, ecco arrivare due sconfitte interne consecutive contro Sassuolo ed Atalanta, intervallate da un pareggio rimediato all'Olimpico di Torino contro i granata che, ai punti, avrebbero meritato la vittoria.
E' arrivato il momento, per i giocatori del Milan, di darsi una bella svegliata. Perché, in questo caso, ha ragione il Presidente Silvio Berlusconi ad essere infuriato, e a dichiarare, senza mezze misure (alle smentite delle agenzie di stampa ci crediamo fino ad un certo punto), che non è concepibile perdere contro organici, giocatori, pagati cinque volte meno di quelli rossoneri. Per Inzaghi, è arrivato il tempo di crescere, ed in fretta. Altrimenti, la sua panchina potrebbe non essere più ben salda come qualche mese fa. Il Milan non è inferiore, sulla carta, a Genoa, Lazio o Sampdoria che lo precedono in classifica, e lo distanziano nettamente sotto il punto di vista del gioco, e della voglia di vincere.
Ecco, appunto, la voglia. La colpa più grande di Inzaghi, finora, è quella di aver contravvenuto alla prima regola che si era dato, ed aveva dato ai suoi giocatori, ad inizio di questo campionato: “Perderemo contro chi è più forte, non contro chi avrà più voglia di noi”. Sarebbe opportuno che, oltre a far capire al suo gruppo che per vincere ci vogliono personalità, costanza, atteggiamento mentale e volontà, facesse ben presente una qualità che, spesso, fa davvero la differenza: la fame. Il tifoso, dopo 16 anni senza coppe europee, ed a distanze abissali dalle posizioni di primato, non può che credere che questo Milan non sia realmente, intensamente, affamato.
Daniele Triolo
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