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L’avvento delle panchine lunghe è stato anche un tentativo di eliminare il gap fra squadre con grossi divari di budget e qualità. In questi ultimi anni ha giovato a molte società, dando loro anche la possibilità di convocare giocatori della Primavera o di far esordire carneadi che si sono rivelati giocatori validi.
Quest’opzione, per ora, non ha portato grossi vantaggi alla società rossonera, minata dalla bassa qualità della propria rosa, a distanze siderali da quella dei cicli di Sacchi, Capello e Ancelotti. Questo Milan di alternative ne ha poche, soprattutto in questo frangente di campionato: Mihajlović ha anche sbagliato dei cambi, ma fin dove sta l’errore dell’allenatore? Osservando questa squadra ci si trova di fronte al più banale esempio di proprietà commutativa applicata al calcio: cambiando l’ordine dei giocatori (letto fra le righe “sostituendo un calciatore per un altro”) il risultato non cambia.
Non che le alternative siano molte: pochi davvero sono gli elementi presentabili disposti a sedere in panchina aspettando il proprio momento, come De Jong, trovatosi ad interpretare la riserva di lusso in uno scacchiere che non prevede il suo impiego dal primo minuto, o Poli, che riserva di lusso non è ma mette grinta e cuore al servizio della squadra.
A proposito di grinta non possiamo fare a meno di citare il duo transalpino Mexés – Ménez; entrambi oscillano tra l’infermeria e il campo d’allenamento, il loro ritorno potrà essere utile in termini di carattere e di rendimento, nel caso scendano a patti con la loro eccentrica personalità. Vuoto, caos, delusione: termini che ormai sono diventati routine nel linguaggio comune del tifoso rossonero. Serve una svolta. Punto.
Giovanni Pesce
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