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Paradosso VENTURA: gioco e risultati low cost, ma nessuno lo vuole

Giampiero Ventura, ex allenatore del Torino. Oggi CT dell'Italia
Giampiero Ventura è un maestro di calcio, ed ha sempre saputo tirare fuori il meglio dalle proprie squadre. Avrebbe meritato una chance in una grande?

Daniele Triolo

Il particolare è stato rivelato, questa mattina, da 'La Gazzetta dello Sport': prima di virare su Filippo Inzaghi, il Milan, nell'estate 2014, allorché la società aveva deciso di congedare anticipatamente Clarence Seedorf, aveva contattato Giampiero Ventura. L'affare, però, non è mai decollato, in quanto Urbano Cairo, Presidente del sodalizio granata, aveva concesso al tecnico ligure carta bianca pur di farlo restare in Piemonte.

Questo, forse, è stato uno dei pochissimi momenti in cui Ventura è stato ad un passo dall'approdare in una big del calcio italiano. Non che il Torino, con il quale tra l'altro l'allenatore è prossimo al rinnovo contrattuale, non lo sia, tutt'altro. Sembra paradossale, però, che un tecnico bravo e preparato come quello genovese non abbia mai avuto la possibilità di cimentarsi alla guida di una delle due milanesi, di una delle due romane, o della Juventus, del Napoli o della Fiorentina. Società che, magari, hanno preferito, negli anni, affidarsi a tecnici inesperti, debuttanti, finanche stranieri o di seconda fascia.

E dire che, di occasioni per dimostrare tutto il proprio valore, Ventura ne ha avute, eccome. Senza andare troppo lontano nel tempo, a ritroso in una carriera da allenatore cominciata nel 1980, quando Ventura assunse la guida dell'Albenga nell'allora Campionato Nazionale Dilettanti, pensiamo a quanto fu capace di fare, nella stagione 2007-2008, alla guida del Pisa. In Toscana, con una formazione neopromossa dalla Serie C1, e non partita certamente per fare sfracelli nel campionato cadetto, Ventura conquistò la sesta posizione, valorizzando giocatori come Alessio Cerci, che fu impostato esterno offensivo a destra in uno spregiudicato 4-2-4 che valse all'attuale giocatore del Milan il primo campionato della carriera in doppia cifra realizzativa. Quello non sarà, come vedremo, l'unico contatto tra Cerci e Ventura. Due anni più tardi, nel 2009, Ventura ottenne l'occasione di cimentarsi in Serie A, a Bari, undici anni dopo la sua prima esperienza (al Cagliari, nella stagione 1998-99, 12° posto in classifica), non volendo considerare le ultime sei partite sulla panchina del Messina nella stagione 2005-2006, a campionato ampiamente compromesso per i peloritani. In Puglia, Ventura si dimostrò duttile, e di saper adattarsi ai giocatori a disposizione: il suo Bari stupì per risultati e bel gioco, pur essendo stato costruito senza un grandissimo budget. Ventura fu in grado di lanciare gente come Andrea Ranocchia e Leonardo Bonucci, che avrebbero poi spiccato il volo verso Inter e Juventus, e di centrare il 10° posto nella classifica finale di quel campionato, concluso con 50 punti, record storico del Bari in Serie A.

Quello che Ventura, poi, ha saputo fare alla guida del Torino, è storia recente: promozione in Serie A nel 2011, una squadra rivoluzionata nel giro di qualche stagione; salvata il primo anno nella massima serie, portata addirittura in Europa League nel secondo. Il Toro di Ventura è stata l'unica squadra italiana capace, finora, di espugnare il 'San Mamés', casa dell'Athletic Bilbao, giusto per citare un'impresa. I granata sono stati cambiati, svecchiati: Ventura ha creato un gruppo compatto, fondato sui giovani e sull'efficacia di un gioco semplice ma avvolgente. Ieri, durante la conferenza stampa della vigilia di Torino-Milan, il tecnico rossonero Siniša Mihajlović, gli ha reso il giusto omaggio: “Da quando c'è Ventura il Toro gioca benissimo – ha sottolineato -; il merito è di Ventura, uno dei migliori insegnanti di calcio in Italia; hanno i giocatori per metterci in difficoltà, sappiamo cosa fare, speriamo di fare tutto per il meglio”.

Una lode dai colleghi, certamente, fa piacere. E siamo certi che Ventura, nel Torino, ha ormai trovato il suo grande club, dal quale difficilmente si separerà. Si rimarrà per sempre, probabilmente, con la curiosità di sapere cosa avrebbe potuto fare alla guida di una corazzata del nostro calcio.

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