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Oggi Dejan Savicevic, fantasista rossonero dal 1992 al 1998 (97 partite e 20 gol) compie 50 anni, ed è stato intervistato da 'La Gazzetta dello Sport'. Il Genio ha parlato del passato e del futuro del Milan: ecco i passaggi più significativi della sua intervista.
“Ricordo che ero militare a Skopje, oggi Macedonia. Una caserma dell'ex Jugoslavia: mi alzavo alle 5 per allenarmi da solo con un preparatore di Belgrado. Corsa, corsa, poco pallone. Non pensavo di giocare perché la Stella Rossa aveva appena vinto contro la Dinamo in campionato: invece titolare a Milano, giocando maluccio, e poi nelle due sfide di Belgrado, bene. Con un gol. Ma lo stadio era un po' infossato e, dopo il primo tempo, vedendo la nebbia vicina, ho detto: 'Questa partita non finisce'. Forse non dovevamo giocare il giorno dopo: il Milan era più fresco”.
“Il soprannome di un suo collega – ha rivelato il montenegrino -: all'inizio lo prendevano in giro, dopo il 4-0 nella finale con il Barcellona è cambiato tutto. Ai miei tempi era dura: noi '10' facevamo fatica perché comandava il 4-4-2 e gli allenatori non volevano cambiare. Io e Baggio soffrivamo. Oggi, almeno, con il 4-2-3-1, c'è quel posto dietro la punta: io facevo l'esterno destro, mi sacrificavo. Ma vincevamo. Mi adattavo. Non ero uno di quantità, saltavo l'uomo ma non potevo correre come Albertini e Donadoni, avevo bisogno di fermarmi. I compagni mi sopportavano, sapevano che avrei dato altro. Tanto eravamo forti forti forti”.
“Credo che tutto sia cominciato quando il Milan ha venduto, o dovuto vendere, Ibra e Thiago Silva. Da duemila chilometri non posso giudicare, ma c'erano Cassano, Robinho e Pato che avrebbero potuto portare milioni. Ma quei due no. Ed è stato declino – ha sottolineato Savicevic -. Un giorno eravamo il primo club, il Barcellona e il Real di oggi, ed oggi non possiamo più spendere 80 milioni per un giocatore. Non è che Pogba abbia risolto la situazione, ma i Bale, i Suárez non sono più alla portata. Gli Higuaín … anzi sono sorpreso che la Juve abbia speso 90 milioni. Di solito vendeva, Vieri, Zidane, non comprava. Sono tanti soldi per loro”.
“Mi era vicino, mi aiutava nei momenti difficili. Senza di lui sarebbe finita presto: dopo il primo anno tutto lo staff tecnico era contro di me, dicevano che non mi ero integrato, che non parlavo la lingua, ma Berlusconi ha detto: “Resta”. Con Capello, poi, ho giocato sempre: da lui ho imparato tanto”.
“Ancora non ci credo: ci metterò anni ad abituarmi che il Milan non è più di Berlusconi”.
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