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Dopo 23 anni, Umberto Gandini, direttore organizzativo e 'Ministro degli Esteri' del Milan, ha lasciato il club rossonero: ieri pomeriggio, , nell'aria già da tempo. Gandini, infatti, da lunedì diventerà amministratore delegato della Roma, accettando, quindi, la proposta che James Pallotta, proprietario italo-americano della società giallorossa, gli aveva fatto pervenire mesi fa. “Non avrei mai pensato di andare a lavorare per un'altra società italiana – ha detto Gandini in un'intervista sul 'Corriere della Sera ' -, invece poiché riconosce la mia professionalità”. Alle domande rivoltegli sulle possibilità di continuare ad esserci anche nel nuovo corso 'cinese' del Milan, Gandini ha risposto con estrema franchezza: “Me lo sono chiesto anche io, poi il desiderio di crescere mi ha condotto verso questa decisione. Del resto il cambio di proprietà comporta un turn over di dirigenti. Siamo alla fine di un'era, giusto così: le aziende cambiano, il tempo passa per tutti. Qui, però, – ha sottolineato Gandini al 'CorSera' -, uno dei più grandi dirigenti italiani. E, per inciso, l'uomo che mi portò al Milan quando mi occupavo dell'acquisizione dei diritti tv in RTI”.
Gandini ha rivelato di essere stato contattato per la prima volta dalla Roma a giugno, e di aver coltivato, in questi lunghi anni di lavoro per il Milan, ottimi rapporti internazionali soprattutto con il Presidente del Bayern Monaco, Karl-Heinz Rummenigge. Il suo successo più importante? L'ultimo, l'aver garantito all'Italia , anche se non scorda quanto successo dopo Calciopoli quando, stagione 2006-2007, il Milan, seppur partendo con l'handicap, riuscì a vincere la coppa dalle grandi orecchie partendo dai preliminari. Ricorda con affetto Fabio Capello, e, infine, ha profetizzato . “E' finita un'epoca, ci saranno nuovi dirigenti ma il Milan è il Milan. Ha un DNA ed una cultura che nessun club possiede. Il Milan di Sacchi e di Capello è quello che i giovani cinesi hanno imparato ad amare – ha concluso Gandini al 'Corriere della Sera' -: per sarò come il giocatore che segna ma non esulta, per rispetto”.
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