- Calciomercato
- Redazione
archivio2016
Ogni anno da tre anni a questa parte è sempre la stessa storia. E ormai le storie del Milan perdono sempre più originalità e, soprattutto, credibilità. Le parole rivoluzione, ripartire da zero e nuovo ciclo sono state le più gettonate nelle ultime tre estati in cui, nel mare rossonero, la società ha deciso di cominciare a navigare a vista.
Dal post Allegri, fresco bi-campione d’Italia con la Juventus e finalista nella Champions League dello scorso anno, Silvio Berlusconi non ci ha capito più niente e, insieme a lui, anche Adriano Galliani. Dopo il 4-3 in casa del Sassuolo dell’ormai famoso 12 gennaio 2014 che causò l’esonero immediato del “colpevole” Allegri, si è cominciato a parlare in termini nuovi in casa Milan millantando nuovi cicli da cominciare e rivoluzioni da attuare nell’immediato. Quando da sempre il Milan è sinonimo di continuità delle idee, della conservazione di quello “stile Milan” che in Europa molti hanno invidiato per anni. Ma soprattutto il Milan è sinonimo di “famiglia”. Tutti gli ex illustri rossoneri erano arrivati a Milanello perché il Milan è sempre stata una grande famiglia, una culla di successi coltivata con il lavoro che da sempre ha contraddistinto la società milanese. E questo stile ai giocatori del Milan piaceva, eppure parecchio.
Ma da quella falsa intuizione del 12 gennaio 2014 di chiamare Seedorf in panchina, che tra l’altro era ancora un tesserato del Botafogo, per sostituire Allegri e ridare al Milan il bel gioco in cinque mesi, il Presidente Berlusconi ha cominciato pian piano l’autodistruzione della squadra. Brocchi è solo l’ultimo delle vittime sacrificali del Presidente, passando per Inzaghi e Mihajlovic (questi, però, voluti da Galliani). Tutti prestanome con a disposizione una rosa di giocatori quantomeno discutibile, messa a disposizione dall’amministratore delegato rossonero, sia nei tempi di “austerity” sia dopo aver speso, male, i novanta milioni della scorsa campagna acquisti estiva.
Ruggiero Daluiso
© RIPRODUZIONE RISERVATA