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Da troppo tempo siamo abituati a commentare le vittorie in campionato del Milan quasi come io, scusate la nota autobiografica, ero solito considerare le “mani” vincenti a carte contro mio padre: meglio non festeggiare troppo perché quella successiva, con ogni probabilità, sarebbe stata drammaticamente di segno opposto. Ma proprio nella settimana che porta alla complicatissima sfida del San Paolo contro l’ex-capolista Napoli, è doveroso dare atto ad allenatore, dirigenza e proprietà (l’ordine di importanza lo lasciamo alla vostra personale sensibilità) che alcuni obiettivi “storici” sembrano essere stati raggiunti. Quante volte abbiamo francamente ironizzato sulla prospettiva, suggerita più volte dal presidente Berlusconi, di un Milan giovane ed italiano? Probabilmente con queste caratteristiche non riusciremo ad essere, nel breve periodo, protagonisti nella lotta scudetto ma, notoriamente, su una base così costituita è più facile aggiungere (magari giocatori più talentuosi e, perché no, stranieri) che essere costretti ad ogni estate a ripartire pressoché da zero.
Facciamo due conti: nella gara interna contro il Genoa la formazione titolare era composta per sette undicesimi da giocatori italiani (per fare un confronto, nella gara scudetto tra Juventus e Napoli ce n’erano in campo complessivamente 5) e l’età media era di poco superiore a 25 anni e mezzo (solo due giocatori, Montolivo ed Alex, hanno più di trent’anni). Nel dettaglio, la difesa (portiere compreso) si avvaleva di 4 elementi italiani su 5 e dell’età media più bassa tra i vari reparti ossia quasi 24 anni e mezzo (ovviamente la presenza di Donnarumma incide significativamente sul calcolo, ma ricordiamo che anche Romagnoli e De Sciglio hanno ancora soli, rispettivamente, 21 e 23 anni). Anche il centrocampo era composto da 3 giocatori su 4 italiani mentre si confermava la zona con un tasso di esperienza più elevato considerando i quasi 28 anni di media. L’attacco (da qualche turno stabilmente affidato alla coppia Bacca-Niang) resta, come da tradizione milanista recente, a parte la splendida eccezione di Filippo Inzaghi, il reparto in cui l’italianità fa più fatica ad affermarsi, anche per oggettiva mancanza di candidati all’altezza. Complessivamente il profilo autoctono e giovanilista che si è voluto dare alla squadra resta una buona notizia, che si trasformi col tempo ne “La meglio Gioventù” è ancora una semplice speranza.
L’altro proposito, evocato come un vero e proprio mantra da Mihajlovic, era quello di costruire una squadra, magari non bellissima, ma grintosa. Se c’erano ancora dei dubbi sul miracolo motivazionale compiuto dal tecnico serbo riguardatevi, per favore, la gara di domenica di Keisuke Honda: implacabile e caparbio in copertura, preciso e prezioso nei suggerimenti, coraggioso e letale nelle conclusioni. Non sappiamo e non capiamo in che modo e in che lingua i due si confrontino e si capiscano (non riesco ad immaginare nulla di più antitetico di un focoso serbo e di un algido giapponese) ma qualsiasi sia il metodo utilizzato: AVANTI TUTTA! Ecco fatto. Avevamo tutti bisogno di una bella terapia a base di ottimismo e speranza dopo mesi di paure, contraddizioni e delusioni. Forse ci sveglieremo in uno stadio che canta “Oje vita, oje vita mia… oje core ‘e chistu core…” ma sappiamo che cadere lottando è già mezzo rialzarsi.
Matteo Forner
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