Capello: “Sacchi pensava che il suo Milan fosse finito. Si sbagliava”
Fabio Capello, ex giocatore e allenatore del Milan (credits: GETTY images)
Fabio Capello, ex dirigente-allenatore del Milan, ha inaugurato oggi su FoxSports la serie di speciali "Collezione Capello": si comincia con "Il Mio Milan"
Renato Boschetti
INTRO
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Fabio Capello, ex dirigente-allenatore del Milan, ha inaugurato oggi su FoxSports la serie di speciali "Collezione Capello": si comincia con "Il Mio Milan", uno speciale in cui ha svelato tra l'altro alcune curiosità del suo Milan degli Invincibile e alcuni retroscena sulla finale di Coppa dei Campioni in cui i rossoneri sconfissero il Barcellona di Crujiff per 4-0 ad Atene.
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IL MIO PRIMO MILAN
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"Mi occupavo di altro, pallovolo, rugby... Berlusconi mi chiamò e mi chiese se avessi voluto tornare. Arrigo Sacchi, secondo Berlusconi, non vedeva futuro in quel Milan, per quello volle cambiare. Per questo è ricominciata la mia storia in panchina del Milan. Il primo incontro con i giocatori fu semplice, giocsatori di alto livello, tecnico e mentale. Il discorso fu semplice: dicono che siete finiti e non avete voglia di lavorare. Non ci credo, credo in voi, sono convinto che mi darete grandi soddisfazioni. Quando si riusciva ad andare sul fondo con Donadoni ed Evani, con Gullit, Van Basten e Rijkaard che arrivavano da dietro era molto difficoltoso per gli avversari poter contrastarci nel gioco aereo. Ricordo una partita, eravamo nel corridoio d'ingresso e l'allenatore avversario si spaventò per la stazza dei nostri giocatori. Il primo campionato lo vincemmo bene, una grande soddisfazione, perché vincere al primo colpo dopo che si pensava che non saremmo stati competitivi, mi piacque molto, fu un anno al top, che permise al Milan di vincere per almeno 5 anni.
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LA VITTORIA IN CHAMPIONS
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Poi Rijkaard volle andar via, arrivò Desailly, Savicevic, Boban... Ci fu grande avvicendamento al secondo anno. In quel periodo vincemmo 10 partite consecutive in Champions, che allora era ad eliminazione diretta, ed arrivammo in finale: non c'era tempo di recuperare. In finale col Marsiglia, Boly segnò subito. Perdemmo la finale, dopo 10 vittorie consecutive. L'anno dopo rigiocammo la Champions e arrivammo di nuovo in finale, contro il Barcellona. Fu una partita preparata alla perfezione, studiata. C'erano molti giocatori eccezionali, convinti come Crujiff di batterci agilmente, tanto che l'ultimo loro allenamento fu ridicolo, con Crujiff sdraiato in campo col pallone sulla testa. Come nasce la vittoria? Da un amichevole contro la Fiorentina: avevamo Costacurta e Baresi squalificati. Misi Galli e Desailly centrali: perdemmo malamente, ma ai giornalisti dissi di essere tranquillo, perché avevo capito di dover mettere Maldini e Galli centrali, con Panucci a sinistra.
La formazione era la seguente: Rossi; Tassotti, Galli, Maldini, Panucci; Boban, Albertini, Desailly, Donadoni; Savicevic; Massaro (4-4-1-1, ndr). Marcammo il Barcellona a uomo, lasciando libero Ferrer, che su 10 palloni, 9 ce li regalava. Quando entravamo in possesso di palla, fummo bravissimi a ripartire e attaccare. Massaro, Savicevic, Donaedoni e Boban, furono perfetti: a turno uno di loro rimaneva bloccato con Albertini e Desailly. Mi ricordo il gol più bello, quello di Savicevic. Il pallonetto che soprese Zubizzareta...
Tutti mi chiesero perché non avevo esultato: non ho mai esultato per il gol, perché credo che sia il risultato di un lungo lavoro collettivo. Quella partita fu particolare, perché i loro giocatori in qualsiasi momento potevano recuperare il risultato. Sul 4-0, però, non potevo più trattenermi, mancava poco tempo e ci abbracciammo tutti. Ricordo che fu la vera festa per Berlusconi, perché allo stesso momento ricevette la fiducia come Premier in Italia.
C'è una cosa che è rimasta impressa, che fa capire che la gente si abitua a vincere, ma non noi giocatori: il mattino dopo, a Malpensa c'erano solo 200 persone, non una marea. I tifosi, però si stavano abituando a vincere.
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DALLA PERFEZIONE...
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Nel 1995, vincemmo il terzo scudetto di fila, giocammo un'altra finale di Champions contro l'Ajax: ci arrivammo con una rosa limitata dagli infortuni, l'ultimo era Savicevic, che si infortunò il giorno prima. La Gara fu equilibrata, misero dentro due giocatori che avrebbero fatto la differenza, con Ramaccioni capimmo che sarebbe stato impossibile.
Perché eravamo così forti: giocatori forti, fuoriclasse. CHiunque venisse a vedere i nostri allenamenrti era stupiti dal fatto che i giocatori si presentassero puntuali e dessero sempre al 100%. Erano abituati a star capricciose. Al Milan no: c'erano regole. I primi "problemi" arrivarono con Savicevic, che era abituato a non correre e a non rientrare. Discussi con Berlusconi, che vedeva in lui un fenomeno: "Presidente, quando Savicevic non corre o rientra, lo tolgo". Successe, e Savicevic capì: diventò un giocatore che faceva la differenza.
Mi godetti poco Van Basten. Ma lui in quel poco mi chiedeva sempre esercizi specifici in area di rigore. Come si impegnava quel giocatore... La difesa faceva allenamenti specifici sui movimenti in sincronia: lavoravano sempre per migliorarsi, avevano uno spirtito vincente, che sapeva soffrire al momento giusto. Per questo detiene un record ancora ineguagliato di 58 partite senza perdere.
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... ALL'ADDIO
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Al terzo anno, con tre scudetti, tre finali di Champions di cui una vinta, andai in scadenza di contratto: Galliani mi chiamò a febbraio e mi disse che dovevo aspettare di vincere il campionato. Non potevamo non vincere, diceva. Io dissi, vinco e vado via. A campionato vinto, mi offrirono il contratto, ma decisi di abdarmene a Madrid. Ero a Madrid, l'anno seguente, e mi chiese di rientrare. Dovevo tutto al Milan e a lui, per questo tornai. Fu il mio più grande errore, tornare in una squadra non fatta da me. Non feci bene, e mi mandarono via. Dissi come volevo la squadra per l'anno seguente, e il Milan di Zaccheroni vinse lo scudetto.
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BERLUSCONI
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Berlusconi si occupava di tutto: se i giocatori stavano bene, se il centro fosse funzionale. Un giorno arrivò e fece diventare Milanello il centro migliore in Europa. Un giorno arriva in elicottero e si arrabbiò: "Chi è quel pazzo che ha distrutto gli alberi?" Avevano potato male gli alberi, cercò il giardiniere. Diede una lezione di botanica al giardiniere, ma è talmente buono che lo salvò. Lui si interessa di tutto, parlava tanto con me, ma non mi ha mai dettato la formazione. L'unica che non digerì fu Borghi, che Sacchi non fece giocare. Un giorno mi chiamò a villa San Martino, mi chiese di andare a allenare al Como con Borghi, dissi che preferivo la Primavera del Milan.
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IL SEGRETO: IL SETTORE GIOVANILE
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20 anni al Milan, ho fatto di tutto. Il segreto del Milan era nel settore giovanile: sei titolari del Milan degli Invincibili arrivava dalla Primavera. Ricordo Costacurta, aveva 13 anni che si allenava con i 15enni e poi andava a giocare con la sua età. La cultura del settore giovanile era importante, perché aiutava a capire la cultura del gioco del Milan, aiutava a capire cosa significava essere milanisti. Ci furono due capitani: Baresi, e poi Maldini. Entrambi, nati nel settore giovanile, nati milanist, che hanno giocato solo nel Milan. Entrambi meritavano il Pallone d'oro. CONTINUA NELLA PROSSIMA SCHEDA
QUANTI RICORDI
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Tutti si ricordano di quel Milan: ricordo con affetto giocatori importanti, Donadoni, Evani, Massaro... Gli stranieri e palloni d'oro come Papin che giocavano poco che capivano il loro ruolo. Weah, personaggio unico che riempiva lo spogliatoio. Ba, che faceva la capretta di Weah. Era la simpatia in persona. Un grazie a tutti questi giocatori, perché erano la malta che cementò questo grande Milan.
Non pensai mai, quando arrivai al Milan, di restare tanto: è diventato un punto di riferimento. Ora sta passando ai cinesi, speriamo e ci auguriamo che siano cinesi vincenti come l'ultimo presidente vincente del Milan.