Mario Sconcerti, dalle colonne del 'Corriere della Sera', ha parlato di Andrea Pirlo, fresco di addio al calcio giocato, nel suo editoriale giornaliero: “Non so quando rinascerà uno come Andrea Pirlo. Spero ci si sia resi conto della sua diversità. Tutto il calcio latino è molto legato ai numeri 10, tende a sottovalutare quello che non è il gol. Si ricordano le punizioni di Pirlo e non come queste nascevano. Ci vuole un controllo straordinario per decidere la traiettoria di un pallone, all’aria aperta o sotto la pioggia. Ma quello per lui era solo un ricamo. La diversità stava in come usava i quattro metri che trovava sempre tra la folla per vedere un compagno libero e mandarlo in gol”.
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L’opinione – “Non so quando rinascerà uno come Pirlo”
“È nato nel periodo sbagliato per il suo tipo di gioco – ha proseguito Sconcerti -. Il calcio negli anni Novanta e Duemila tornò a innamorarsi del pressing, della difesa alta. Guardiola è bravissimo, ma non le ha inventate lui, vengono da molto lontano, servivano per recuperare in fretta il pallone già nella metà campo degli altri. L’aggressione a metà campo fu costruita proprio per limitare quelli come lui che se avevano il tempo di pensare mettevano il pallone dove volevano. Il primo a capire che Pirlo andava sfruttato in modo diverso fu Carlo Mazzone che lo portò dieci metri più indietro nel Brescia. Fu poi Ancelotti a farne un regista moderno e senza nome se non il suo. Nacque il regista alla Pirlo, qualcosa appunto di unico. Per capire tanta diversità basta ricordare che ancora pochi anni fa uno bravo come Allegri, allora al Milan, gli preferì Van Bommel davanti alla difesa, un giocatore di fisico e di misura. Pirlo si sarebbe dovuto spostare a fare l’interno, di nuovo in mezzo al pressing. Lui disse no e andò alla Juve, dove ritrovò Allegri che nel frattempo aveva capito”.
Ancora Sconcerti: “La differenza di Pirlo è stata per anni quella del Milan e della Juve. C’erano molti bravi attaccanti, molti fantasisti, ma non c’era un altro Pirlo. Andava contro il ritmo del calcio che prevede passaggi orizzontali e un corridoio finale. Pirlo andava sempre in verticale, di cinque metri o cinquanta, ma a modo suo. E quel modo diventava la differenza della squadra. Hanno cercato cento modi di chiuderlo, dal centravanti che lo marcava a inizio gioco, al medianaccio che lo asfissiava. Ma Pirlo aveva un alleato, il pallone, sapeva mandarlo dove voleva. Così ha vissuto nel punto più pericoloso del campo e senza averne le doti fisiche, quasi senza accorgersene. Era casa sua. E da lì ricominciava per mandare in porta gli altri”.
Infine: “Non ha paragoni, li ha creati. Non cercava di giocar bene a calcio, lo inventava. Se devo pensare a qualcuno davvero, mi viene in mente Didi. Ma è un ricordo sfuocato. Pirlo ha preso in giro il calcio degli schemi, quello vero era sempre il suo. Spero sia stato felice, ma non è facile quando si è unici. Non riesco adesso a immaginarlo allenatore o immerso nel mercato a comprare giocatori molto peggiori di lui. Lo vedo come una grande memoria, cioè il vero tempo di tutti noi. E tra i ricordi uno importante: è sempre stato un gentiluomo. Credo che per lui il difficile cominci adesso. Ma quando sai maneggiare così una palla, puoi giocare qualunque cosa, anche la vita”.
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