Una crisi iniziata nel 2010, quando gli azzurri hanno lasciato il Mondiale in Sudafrica ai gironi. Quell'anno, Paolo Maldini si era ritirato da un solo anno ed era già un patrimonio a disposizione del calcio italiano per provare a ripartire. Sette anni dopo, lo è rimasto e il movimento ha toccato il punto più basso, con l'esclusione dai Mondiali in Russia del 2018 ancora prima di iniziarli. Come anche il Milan, la FIGC non lo chiama. Intervistato da "La Repubblica", l'eterno numero 3 commenta così.
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Maldini: “Sconfitta l’idea che noi ce la caviamo sempre”
Sull'Italia fuori dal Mondiale: "Ero a San Siro a fare il tifo e ho sofferto. Non soffro più come prima per il calcio, da quando non faccio più il calciatore, ma in questo caso la delusione è troppo grande: ancora non ci credo, è stata una cosa inaspettata. Però…"
Però: "Da una delusione così enorme si può ripartire, a tutti i livelli. Può diventare un’occasione. Bisogna riuscire a trasformare la ferita in un nuovo punto di partenza".
Se intende un progetto di rifondazione: "Quello. Da affrontare senza paura, con la consapevolezza che possono servire anni per ottenere i risultati, ma anche che è l’unica strada".
Sulle mancate dimissioni di Ventura e Tavecchio: "Ognuno in una situazione del genere, quando c’è un fallimento, deve prendersi le sue responsabilità. E nelle responsabilità sono implicite le dimissioni. Pensare alle dimissioni dei vertici Figc non è sbagliato e nemmeno chiedere al presidente del Coni e al ministro dello sport un intervento per cambiare. Ma non per cambiare un singolo ingranaggio".
Sulle difficoltà: "Sì, ma non bisogna guardare soltanto alla Figc, c’è anche la Lega da cambiare".
Sugli ex campioni al governo: "Ribadisco per l’ennesima volta che non voglio essere frainteso su questi argomenti. Parlo da amante del calcio, non certo da persona che si voglia autocandidare per qualche ruolo. Quello che posso dire è che ci sono tanti ex calciatori che potrebbero dare molto, ma che con le norme attuali il ricambio generazionale è impossibile: vedo ancora le stesse facce di quando ho smesso con la Nazionale, 15 anni fa. Così non circoleranno mai idee nuove".
Su Albertini: "Ma sapeva di perdere già prima di correre per la presidenza Figc. Il sistema è bloccato, così ci sono persone che hanno dato tanto allo sport e che non possono dare il loro contributo. L’unica eccezione al blocco della politica, in questi anni, è stata l’elezione di Malagò al Coni. Il cambio generazionale ci vuole: significa portare idee nuove".
La riforma più urgente: "Su questi temi ci si può confrontare, ma più dell’elenco conta il principio. Il calcio giocato deve tornare al centro del sistema. È il problema principale della Figc".
Perchè dovrebbero cambiare ora le cose e non dopo i due fallimenti Mondiali: "Perché non si può più aspettare. Non c’è una cosa sola che non va, ce ne sono tante. Non bisogna avere il timore di guardarle, ad esempio di capire che i ragazzi che escono dalle nostri giovanili non sono pronti per il calcio vero. E non bisogna vergognarci di guardare agli altri Paesi".
Sulle imitazioni agli altri Paesi: "La verità è che noi navighiamo sempre a vista. La Francia, prima del Mondiale, ha saputo programmare, come in passato Spagna e Germania. Ora l’Inghilterra sta vincendo tutto a livello giovanile e non può essere un caso. Con queste premesse è destinata a vincere anche con la Nazionale. Noi, invece, abbiamo l’idea che in qualche maniera ce la caveremo sempre. Non è vero e si vede".
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