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Montella: “Closing o no, io voglio rimanere al Milan”

Vincenzo Montella Milan-Fiorentina
Montella si è raccontato e ha svelato molti dettagli del proprio modo di allenare. Un buon tecnico, dice, deve saper entrare nella testa dei giocatori.

Stefano Bressi

È senza dubbio una delle note più positive del Milan di quest'anno. Anzi, forse è la più positiva. Dopo diverse stagioni con in panchina allenatori che non hanno mai convinto del tutto, finalmente i rossoneri hanno trovato in Vincenzo Montella qualcuno che sembra possa dare continuità a un progetto che sta già dando buoni risultati. Il tecnico campano ha rilasciato una lunga intervista a la Repubblica, affrontando diverse tematiche. Ecco tutte le sue parole.

Sulla cessione societaria: "Ci penserò se e quando accadrà, non mi faccio assorbire energie extralavorative. Per ora mi rapporto con la dirigenza attuale, che è ben presente".

Su Berlusconi: "Un presidente ha diritto di esternare i propri desideri. La sua è una storia unica e si avverte la responsabilità di dover vincere attraverso il bel gioco".

Sui consigli di Silvio: "Si è esagerato, mi sono sempre sentito libero. Il Presidente sa dialogare. Trasmette il proprio pensiero e la propria mentalità. Dà stimoli anche se la macchina sembra al massimo".

Sul contropiede: "È un luogo comune: giochiamo in tutti i modi. Abbiamo subito il maggior numero di gol a difesa schierata e segniamo spesso rubando palla. La squadra capisce i frangenti".

L'estetica: "Bisogna soppesare la forza dell'avversario e lo stato dei giocatori. Con la Fiorentina ho messo un difensore in più per chiudere la profondità: non hanno più tirato in porta".

Vicino al Milan ai tempi di Firenze: "L'unico minicasting risale all'anno scorso con autorizzazione scritta della Samp".

Su chi lo ha scelto: "C'erano sia Galliani che Gancikoff, supervisionati da Berlusconi".

Su Fassone: "Il mio è un mestiere labile, con oscillazioni mediatiche. Devo lavorare e ottenere risultati. Sono felice di allenare il Milan e vorrei rimanere qui a lungo".

Sulla Champions: "La squadra è già competitiva, ha un'anima e una base giovane. Può crescere, anche con i giusti correttivi, non numerosissimi".

Se bastano 130 milioni: "Si dice che sia più facile sbagliare con i soldi. Non bisogna sbagliare, a prescindere dal budget".

Sugli italiani in campo: "A me piace allenare i giocatori forti. Anche gli stranieri ci danno una bella mano. La storia dice che un blocco italiano può dare qualcosa in più".

Su Donnarumma: "È un'intuizione di Mihajlovic. Io ho solo continuato. Di lui e Locatelli mi sorprende la maturità in una squadra in costruzione".

Sulla cessione di Gigio: "Uno così lo vuoi tenere. Ha forza contrattuale, anche per l'età. Dipende da lui".

Sulle giovanili della Roma: "I miei ex giocatori mi regalano ogni volta la maglia. A quell'età l'allenatore influisce, ma fu merito di Bruno Conti. In Europa è la Roma a lanciare più talenti".

Sul suo egoismo da attaccante: "Considerando i minuti giocati forse ho la media più alta. Non ero egoista, tiravo se era la soluzione migliore. Per allenare ho studiato tanto. Ad alti livelli fai la differenza se entri nella testa dei giocatori".

Sugli studi: "Ho fatto un corso di management alla Luiss e alcuni esami all'Isef. Non è compatibile con il lavoro, ma mi aggiorno di continuo. Se ti fermi sulle tue certezze, smetti di crescere".

Sulle pettorine gps a Roma: "Dissi che se non ne compravano 10 l'avrei fatto io. Grazie alla tecnologia controllo cosa succede in partita. Anche se poi non gioca chi corre di più".

Sullo staff: "Completa le competenze, ci sono cose che non so fare".

Sui video: "La mente percepisce meglio ciò che vede e che la emoziona. Rivedendosi, i giocatori sono più attenti".

Sull'Alchimista di Coelho: "Nel 2009 ho regalato 36 copie, una ciascuno, ai Giovanissimi della Roma, con frasi personalizzate. Il mio primo libro da adulto, per credere nei sogni".

Sulla dieta: "Non è vegana, precisiamo. Oggi nel menu c'è la paillard di vitello. Se si può migliorare bisogna farlo. Credo nel riposo e nell'alimentazione. Un calciatore si può allenare due ore e poi pensare al telefonino, io no: mi documento, per dare ai ragazzi tutti gli strumenti possibili. I cambiamenti spaventano".

Sui cambiamenti: "Tipo eliminare la credenza sull'aumento della massa muscolare. O a Catania convincere i 30enni che non servivano i 5mila metri".

Sulla tesi a Coverciano: "Il lavoro con la palla è allenante. Se devi fare il pieno in un serbatoio, vuol dire che hai perso benzina".

Da chi ha imparato di più: "Da Spalletti il campo, da Ancelotti il modo di allenare".

Sulla tattica: "Non credo in moduli e modelli vincenti, ma in una base per i concetti, da adeguare ai giocatori".

Su Allegri e Bonucci: "Non conosco i fatti. Quando me la presi con Capello avevo le mie ragioni, ma sbagliai nella reazione. Ricordo ancora la ramanzina di mio padre".

Su Bacca: "Non mi ha mai mancato di rispetto. Io soffrii alla Roma, ero nervosissimo. Il rimpianto resta il Mondiale 2002, stavo talmente bene che pensavo di battere la pazzesca concorrenza".

Sulla cessione del colombiano: "Siamo d'accordo con la società: massima fiducia in lui".

Sulla Cina: "A fine carriera un'occasione del genere l'avrei colta. Io andai al Fulham. È un'occasione per la famiglia".

Sull'immagine da introverso: "La pacatezza nasce dal percorso di calciatore, perennemente indifeso. Sono gioviale comunque".

Sulla napoletanità: "La famiglia e la musica di Pino Daniele".

Sui milanisti: "Avverto la vicinanza, mi fermano per strada. I tifosi accettano pregi e difetti della squadra, sentono che dà tutto. E hanno visto la Supercoppa".

"Una sola cosa rende impossibile il sogno: la paura di fallire", di Coelho: "Mi ci riconosco. Devi essere convinto, senza mai mentire a te stesso".

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