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Seedorf: “Milan, i giovani devono sbagliare: non sono loro il motore”

Daniele Triolo

Clarence Seedorf ha analizzato il momento difficile del Milan e dei suoi ragazzi. “Il club esisteva prima di Berlusconi ed esisterà anche dopo”

Clarence Seedorf, calciatore del Milan dal 2002 al 2012 (432 gare, 62 reti e 10 trofei all'attivo) e poi allenatore dal gennaio al giugno 2014, ha analizzato il momento difficile della squadra rossonera, reduce da tre sconfitte consecutive e, in particolare dei suoi giovani, Gianluigi Donnarumma e Manuel Locatelli su tutti, che stanno attraversando un periodo non propriamente florido in termini di prestazioni. Queste le dichiarazioni di Seedorf sulle colonne del quotidiano torinese 'La Stampa':

Sui ragazzi del Milan: “Sono brillanti. Se l’allenatore li ritiene pronti... sia. Purché abbiano il diritto di sbagliare, cadere e crescere”.

Sui giovani che aveva a disposizione lui da tecnico rossonero: “Donnarumma non ha ancora compiuto 18 anni, i conti sono presto fatti. Un tecnico non può puntare i piedi e dire: voglio un Under 20. Se ci sono li usi. Non ho mai guardato l’età, sempre la maturità”.

Sull'età giusta per la maturità calcistica: “Ognuno ne ha una diversa, tocca a staff tecnico e società capirlo e strafare è un delitto: spingere un talento a reggere più di quanto può è il miglior modo per guastarlo. E lo devi gestire anche e soprattutto fuori dal campo”.

Sulle differenze con la sua epoca: “Il calcio è cambiato, la pressione di ora non è paragonabile e non importa quanto sai giocare bene: per affrontare quel meccanismo ci vuole esperienza e non te la puoi inventare”.

Sui giovani nelle grandi squadre: “Una grande squadra non può reggere sui giovani perché la loro caratteristica è di avere alti e bassi. Li puoi inserire, non puoi pretendere che siano il motore, diverso è per delle altre realtà, come in Italia può essere l’Atalanta, dove se tutto funziona sono applausi e se gira storto per dieci partite di fila non è un delirio”.

Sul passaggio di proprietà del Milan: “Il Milan esisteva prima di Berlusconi ed esisterà dopo. L’anima di una squadra viene dai tifosi. Quelli restano, mi pare”.

Sul progetto del calcio in Cina: “Buttano un sacco di soldi, ma l’obiettivo è chiaro e concreto. Spingono molto, sono aggressivi e per un giocatore oggi è delicato decidere cosa fare quando viene contattato. Se ci sarei andato da calciatore? Non posso saperlo, potrei dire no perché so quanto volevo stare nel calcio più importante, ma la verità è che se ti propongono certe cifre, le stesse che hanno dato, per esempio, a Pellè, come fai a dire no? I soldi sono comunque da rispettare”.

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