Axel Campeol, terzino della Primavera del Milan, ha parlato ai microfoni di qdpnews.it in merito alla sua esperienza a Milano, lontano dalla famiglia, e la passione per il calcio: "La passione per il calcio è di famiglia, mio padre ha allenato per diversi anni l’allora Quartier del Piave. Fu proprio con lui che cominciai a tirare i primi calci al pallone. Un giorno mi chiese se volevo iscrivermi ad una scuola calcio e mi portò con lui al Qdp, avevo circa sei anni. Lì mi hanno trattato benissimo, ho sempre giocato con i bambini che avevano uno o due anni più di me. Poi, circa a dieci anni, partecipai al mio primo Milan Camp a Jesolo, dove vinsi il premio di capocannoniere nonostante giocassi da centrocampista. Da lì il Milan cominciò a monitorarmi e l’anno successivo mi invitò per rivedermi, cosa che solitamente non accade. Quell’anno vinsi il premio “ragazzo più preciso”, più prove su fondamentali e tecnica. A quel punto il Milan bussò alla porta dei miei quando io non c’ero. Gli dissero che mi stavano tenendo d’occhio e gli chiesero se potevano affidarmi al Montebelluna. Lì mi difesi abbastanza bene nonostante l’alto livello del campionato e delle aspettative e così decisero di portarmi a Milano".
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Campeol: “Milan? Non accettai subito. E’ dura vivere lontano da casa”
Sulle reazioni al Milan: "Sembrerà strano, ma non accettai subito: per un ragazzo così giovane non è facile lasciare la famiglia e gli amici per trasferirsi in una realtà simile. Poi, anche grazie ai miei genitori, capii che era un occasione da cogliere al volo e così dissi di sì. Ricordo in particolare un dato: mi dissero che solo un ragazzo che gioca a calcio su 26 mila finisce al Milan…".
Sul trasferimento: "Non è stato assolutamente facile. Ho iniziato a giocare al Milan a 12 anni e il primo mese non vidi mai il campo. Finivo sempre in tribuna: dovevo abituarmi a ritmi, campi e giocatori diversi. Da lì in poi ho cominciato a trovare spazio e fino ad ora non ho mai fatto panchina. Mi ritengo abbastanza fortunato…".
Su come si vive lontano da casa: "Non è facile, la mancanza della famiglia comunque si avverte. Fortunatamente ho trovato una ragazza presente e che mi vuole bene. Mi dà un aiuto in più, stare lontano da casa senza punti di riferimento è molto dura. Con mio papà, ad esempio, ho un bellissimo rapporto, ma è da sei anni che lo vedo solamente il fine settimana, sempre se gioco a Milano... purtroppo non abbiamo molto tempo per tornare a casa".
Sulla scuola: "La scuola finisce alle due del pomeriggio, ma noi giocatori usciamo a mezzogiorno, quindi perdiamo già due ore tutti i giorni. In più sono sfortunato - tra virgolette - perché andando in Nazionale perdo almeno una settimana al mese. Ho solo la sera a disposizione e la maggior parte delle volte mi trovo a rincorrere. Fortunatamente i professori sono dei pezzi di pane: pretendono come è giusto che sia, ma capiscono i nostri impegni e sono disponibili anche fuori dall’orario scolastico. In ogni caso sono felicissimo della scuola che ho scelto (liceo linguistico, ndr), quest’anno ho la maturità".
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