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Campeol: “Milan? Non accettai subito. E’ dura vivere lontano da casa”

Axel Campeol, Milan, con la maglia azzurra dell'Under 17 (foto Getty Images)
Ai microfoni di qdpnews.it, il terzino della Primavera rossonera, Alex Campeol, ha parlato della sua esperienza in rossonero e sui primi anni a Milano

Luca Fazzini

Axel Campeol, terzino della Primavera del Milan, ha parlato ai microfoni di qdpnews.it in merito alla sua esperienza a Milano, lontano dalla famiglia, e la passione per il calcio: "La passione per il calcio è di famiglia, mio padre ha allenato per diversi anni l’allora Quartier del Piave. Fu proprio con lui che cominciai a tirare i primi calci al pallone. Un giorno mi chiese se volevo iscrivermi ad una scuola calcio e mi portò con lui al Qdp, avevo circa sei anni. Lì mi hanno trattato benissimo, ho sempre giocato con i bambini che avevano uno o due anni più di me. Poi, circa a dieci anni, partecipai al mio primo Milan Camp a Jesolo, dove vinsi il premio di capocannoniere nonostante giocassi da centrocampista. Da lì il Milan cominciò a monitorarmi e l’anno successivo mi invitò per rivedermi, cosa che solitamente non accade. Quell’anno vinsi il premio “ragazzo più preciso”, più prove su fondamentali e tecnica. A quel punto il Milan bussò alla porta dei miei quando io non c’ero. Gli dissero che mi stavano tenendo d’occhio e gli chiesero se potevano affidarmi al Montebelluna. Lì mi difesi abbastanza bene nonostante l’alto livello del campionato e delle aspettative e così decisero di portarmi a Milano".

Sulle reazioni al Milan: "Sembrerà strano, ma non accettai subito: per un ragazzo così giovane non è facile lasciare la famiglia e gli amici per trasferirsi in una realtà simile. Poi, anche grazie ai miei genitori, capii che era un occasione da cogliere al volo e così dissi di sì. Ricordo in particolare un dato: mi dissero che solo un ragazzo che gioca a calcio su 26 mila finisce al Milan…".

Sul trasferimento: "Non è stato assolutamente facile. Ho iniziato a giocare al Milan a 12 anni e il primo mese non vidi mai il campo. Finivo sempre in tribuna: dovevo abituarmi a ritmi, campi e giocatori diversi. Da lì in poi ho cominciato a trovare spazio e fino ad ora non ho mai fatto panchina. Mi ritengo abbastanza fortunato…".

Su come si vive lontano da casa: "Non è facile, la mancanza della famiglia comunque si avverte. Fortunatamente ho trovato una ragazza presente e che mi vuole bene. Mi dà un aiuto in più, stare lontano da casa senza punti di riferimento è molto dura. Con mio papà, ad esempio, ho un bellissimo rapporto, ma è da sei anni che lo vedo solamente il fine settimana, sempre se gioco a Milano... purtroppo non abbiamo molto tempo per tornare a casa".

Sulla scuola: "La scuola finisce alle due del pomeriggio, ma noi giocatori usciamo a mezzogiorno, quindi perdiamo già due ore tutti i giorni. In più sono sfortunato - tra virgolette - perché andando in Nazionale perdo almeno una settimana al mese. Ho solo la sera a disposizione e la maggior parte delle volte mi trovo a rincorrere. Fortunatamente i professori sono dei pezzi di pane: pretendono come è giusto che sia, ma capiscono i nostri impegni e sono disponibili anche fuori dall’orario scolastico. In ogni caso sono felicissimo della scuola che ho scelto (liceo linguistico, ndr), quest’anno ho la maturità".

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