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Maldini a Milan TV: “Giurerei di nuovo fedeltà ai rossoneri”

Paolo Maldini, bandiera del Milan
In occasione del suo cinquantesimo compleanno, Maldini ha parlato ai microfoni di Milan TV. Tanti temi toccati, ecco le sue parole.

Stefano Bressi

Giornata speciale in casa Milan: compie oggi 50 anni Paolo Maldini, leggenda rossonera ed eterno capitano. Il suo numero 3 è stato ritirato dalla storia rossonera. In occasione del suo compleanno , ma anche a Milan TV. Ecco le sue dichiarazioni ai microfoni del canale ufficiale.

Sugli attestati di stima: "Sto godendo di queste cose piacevoli nel post-carriera. Quando sei giocatore è normale pensare ad altro, quando smetti sei più attento a queste dimostrazioni di affetto. Con Puyol e Sergio Ramos ho parlato più volte e non mi hanno mai nascosto questa loro passione per la mia maniera di essere e di stare in campo".

Sul provino a Linate: "Mi ricordo molto di più del passato remoto, rispetto a quello più recente. Mi ricordo quel mio primo giorno a Linate, mi ricordo che avevo comprato le scarpe in Corso Buenos Aires, mi ricordo che mi chiesero che ruolo avessi. Io non lo avevo e c'era libero quello di ala destra. Mi ricordo che il provino è andato bene e da lì è partita la mia avventura, avevo solo 10 anni, e sono rimasto 31 anni al Milan".

Sull'esordio con Liedholm: "Liedholm mi voleva far esordire prima. Quando ha deciso di farlo, la notizia è uscita sui giornali e lui si è spaventato e mi ha detto che avrei dovuto giocare con la Primavera. Avevo solamente 16 anni e ha scelto una partita in cui io ero la terza-quarta scelta in panchina e così è stata una sorpresa sia per me che per la stampa".

Se Liedholm è quello con cui ha legato di più: "Sono legato a tutti, però è stata la persona che ha creduto più in me, dopo mio padre".

Una caratteristica trasmessa da Sacchi, Capello e Ancelotti: "Capello l'ho avuto in Primavera ed è quello che mi ha fatto cambiare la mentalità da ragazzino a professionista. Tanti consigli che mi ha dato mi son rimasti per sempre nella carriera. Sacchi è quello che ha stravolto completamente il mio modo di pensare il calcio, con uno stravolgimento pazzesco della preparazione fisica. Ancelotti è stato mio compagno con Sacchi e poi è diventato l'allenatore che mi ha accompagnato fino a fine carriera e sono stati gli anni più belli".

Su Ancelotti al Napoli: "Mi ha sorpreso tantissimo, perchè l'ho visto all'addio di Andrea Pirlo e non mi ha detto nulla, anche se vedevo che era un po' con la testa tra le nuvole. Credo che questa scelta sia data dalla sua grande voglia di allenare e dal fatto che non ci fossero alternative nel Paese dove credo lui volesse stare, ovvero l'Inghilterra. È giusto che uno come lui alleni e che faccia l'esperienza in un ambiente diverso, ma che non è poi tanto diverso da ciò che è stato il suo inizio di carriera con Parma, Juventus e Milan e di conseguenza non avrà problemi".

Sul padre che l'ha convocato in Under21: "Mi aveva già convocato anche Vicini, l'allenatore precedente, quindi la situazione era abbastanza semplice. Poi da lì ho fatto solamente un anno e ho avuto anche lui in Nazionale maggiore. Siamo stati allenatore e capitano in un Mondiale e l'ho avuto anche nel Milan. Spesso la sua carriera si è incrociata con la mia".

Se avere il padre in panchina fa dare di più: "Sì, soprattutto in Nazionale e soprattutto al Mondiale c'è sicuramente quel pensiero. Probabilmente quella che soffriva di più era mia mamma. È una situazione abbastanza particolare, perchè al Mondiale ci sono 23 giocatori e 12 sono scontenti perchè non giocano. Io ero il loro capitano e non si potevano lamentare con me delle scelte dell'allenatore. Tante cose sono state superate grazie al fatto che mio papà avesse avuto buona parte di quei giocatori nell'Under 21 e che li conoscesse bene".

Se vede somiglianze col padre: "Nella maniera di camminare, di muovere. Stessa cosa per i miei figli. Loro assomigliano a me quando io ero più giovane e io sto incominciando ad assomigliare a lui quando era più anziano. C'è sicuramente qualcosa legato alla genetica".

Se il rimpianto più grande è non aver vinto in azzurro: "Sì, però ho partecipato a 4 Mondiali, di cui uno in Italia. Sono arrivato spesso vicino. È un peccato, però non posso lamentarmi di ciò che ho avuto nella mia vita. L'esperienza in Nazionale è stata formativa e bellissima. Riuscire ad essere capitano di un Paese ai Mondiali ti rende veramente orgoglioso di quello che hai fatto".

Se la sua Italia non avesse raggiunto i Mondiali: "È stato uno shock anche da semplice tifoso. Ero allo stadio e pensavo che in qualche maniera ce l'avremmo fatta. Sono bellissimi Mondiali, li sto vedendo, ma è brutto non vedere l'Italia. È il risultato della gestione deficitaria degli ultimi 4 anni, non degli ultimi 6 mesi. Se questa verrà usata come una base di partenza, potrebbe anche essere un'occasione".

Sull'Intercontinentale vinta nel 1990 con la spalla rotta: "Avevo un dolore assurdo e portandomi fuori in barella credo mi abbiano fatto più danni che l'infortunio stesso. Finita la partita Van Basten mi ha trascinato e portato fuori. Grazie a Marco sono nella foto dell'Intercontinentale del 1990".

Sulla Champions 1994: "C'era sia paura che convinzione nei propri mezzi, perchè affrontavamo una squadra forte, ma che è stata un pochino troppo spavalda. Eravamo sfavoriti, ma noi non ci siamo sentiti tali. Avevamo fatto una mini preparazione per arrivare bene alla finale e ci siamo arrivati bene, al di là delle assenze importanti".

Sullo Scudetto 1999: "La vecchia guardia era stata messa in discussione. È stato un sogno, ma anche un azzardo. Non eravamo sicuramente i più forti, ma abbiamo bluffato. Abbiamo fatto sì che la nostra convizione arrivasse anche agli altri, che hanno rallentato, e noi abbiamo fatto all in vincendo le ultime 7 partite".

Sulla difesa a 3 di Zaccheroni: "A me non piaceva tanto, anche se nella maniera in cui giocavamo potevo avere un ruolo anche nell'impostazione. Per me il Milan deve sempre giocare con 4 difensori, perchè è stata l'impronta più importante degli ultimi 25 anni, però devo dire che grazie a questa idea abbiamo avuto la possibilità di vincere che, probabilmente, giocando in un'altra maniera, non avremmo avuto".

Se Cesare gli ha fatto i complimenti dopo la Champions 2003: "Mio papà ha cambiato carattere, perchè quando era più giovane era più chiuso. Avendo 6 figli esuberanti cambi per forza. Poi vedere il proprio figlio che ripercorre le tue orme arrivando al successo è bellissimo. Non servivano complimenti, bastava guardarlo negli occhi per capire cosa pensava. La mia famiglia è sempre stata importantissima per me".

Un giocatore su cui non avrebbe scommesso, ma si è rivelato un top: "Desailly è arrivato come difensore. La sua posizione è stata un po' casuale, perchè durante gli allenamenti si sentiva dove avremmo dovuto metterlo, poi a un certo punto è stato messo davanti alla difesa e da lì è diventata una diga incredibile. Di Kakà si sapeva poco, ma sono bastati penso 20 minuti di allenamento. Di Sheva si sapeva tanto, e ha confermato. Desailly è stato quello che ha sorpreso più di tutti".

Un giocatore che avrebbe potuto fare di più: "Son tanti. Da Di Canio, che è passato da noi ma non è riuscito a fare niente di importante. L'ultimo è proprio Pato, che ha fatto un'ottima carriera. Le sue caratteristiche dovevano, però, portarlo ad essere tra i primi tre giocatori al mondo. Le caratteristiche sono una cosa, poi la completezza del giocatore e della persona sono un'altra. Anche se Pato, soprattutto negli ultimi anni, è tornato ad essere un giocatore importante".

La partita che vorrebbe rigiocare: "Avendo vinto tanto ho imparato ad accettare le sconfitte come una parte del gioco e questo credo sia fondamentale per i tifosi. Una volta che accetti quello, una volta che vedi che la tua squadra ha dato tutto, non puoi chiedere di più ai tuoi giocatori. Magari la partita che vorrei rigiocare, ed esula dal risultato sportivo, è quella di Marsiglia, dove siamo usciti dal campo dando un'immagine nostra non bella e secondo me siamo stati giustamente puniti dalla UEFA".

Su Milan-Manchester 3-0: "Quella è una coppa che è stata voluta tantissimo. Non eravamo i più forti, non stavamo particolarmente bene e abbiamo fatto un girone di Champions League veramente brutto. Io, però, ho iniziato a dire a Carlo che avremmo vinto. Mi ricordo che siamo andati a Malta a fare il ritiro invernale e ho spinto l'idea di andare fino in fondo. Contro il Bayern abbiamo fatto una brutta partita ed è finita 2-2 in casa. Il giorno della partita di ritorno abbiamo cambiato la nostra mentalità e la nostra forma fisica e ci ha permesso di giocare due partite super nelle semifinali contro il Manchester".

Il miglior Maldini: "Mi vedo ogni tanto con la maglia dell'esordio e lì vicino c'è il primo Scudetto e la prima Champions League. Forse l'anno in cui mi sono sentito veramente bene sono stati i due anni di Capello e dal 2002 al 2004. Mi son sentito al massimo della mia forma e secondo me a livello tecnico-tattico mi sentivo particolarmente completo, pur non avendo l'esuberanza di quando ero giovane".

Sull'addio al calcio a Firenze: "Un po' di magone dentro me l'ha lasciato. Comunque ho lasciato tanti rapporti personali. La carriera del calciatore è fatta soprattutto di rapporti personali e poi lasciavo l'adrenalina del pre gara, dell'entrare a San Siro e di giocare partite importanti. Queste son state le cose che mi son mancate di più, soprattutto nei primi anni".

Se giurerebbe di nuovo fedeltà al Milan: "Beh, visto com'è andata, assolutamente sì. Anche perchè era il club di mio papà, il club della mia città, il club che ha accompagnato i miei figli nella loro giovane carriera da ragazzini".

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