Presente ieri al Festival dello Sport di Trento, Paolo Maldini ha rilasciato un'intervista all'edizione odierna della Gazzetta dello Sport, iniziando dai suoi inizi al Milan: "La prima volta che misi piede al Milan mi presentai con le scarpette nuove di zecca, comprate assieme a mia mamma. Mi chiesero che ruolo avessi, ma in realtà non ne avevo perché giocavo in oratorio. Era libero il posto da ala destra e lì mi piazzai. Mi presero subito, e subito ho cercato di capire come diventare amico del pallone".
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Maldini: “Vogliamo tornare grandi. Io dirigente? Scelta giusta”
Sulla sua storia al Mlan: "Francamente quel giorno non credevo di essere in grado di giocare in A. C’è stata anche un po’ di incoscienza dell’allenatore (Liedholm, ndr). Una volta conclusa la partita, mi sono detto che potevo farcela".
Sul suo cognome: "Una pressione che sentivo, sì. Però in tanti mi raccontavano il modo di giocare di papà, senza buttare via la palla, cercando il bel gesto tecnico. E la cosa mi attirava parecchio".
Sul ruolo da dirigente: "Le dico cosa vorrei, nel mio ruolo. Voglio che il Milan torni protagonista in Italia e in Europa. Voglio restituire tradizione e senso di appartenenza, cosa su cui abbiamo iniziato a lavorare anche nelle giovanili. Credo nel fatto che si possa raggiungere un obiettivo fondamentale come la Champions. Che è imprescindibile e reputo un traguardo realistico".
Sull'Europa League: "La rispetteremo e la giocheremo al massimo, anche perché non l’abbiamo mai vinta".
Se ha trovato quello che cercava da dirigente: "Direi proprio di sì. Ho sempre pensato che sarebbe stato bello ricominciare col Milan e questa opportunità credo sia stata ciò che di più vicino c’è al momento perfetto. E’ tutto molto bello, rifarei la scelta. La strada imboccata è quella giusta".
Su Leonardo: "Siamo molto diversi, direi complementari, e la trovo una combinazione fortunata. Di lui ho stima e ho grande fiducia. Per me Leo sotto certi aspetti è un punto di riferimento, come fu Galliani per lui. Con Leo dividiamo l’area sportiva, il mercato e indichiamo la linea progettuale. Ah, dividiamo pure l'ufficio".
Su Galliani: "Rapporto semplice: chi scegli i collaboratori ha idee chiare e io non rientravo nelle sue idee. I litigi sono normali in un grande club, ma abbiamo trascorso insieme anni molto intensi. Io non voglio accanto persone che mi diano sempre ragione".
Su Berlusconi: "Un visionario. Ci diceva che con lui saremmo diventati i più forti del mondo, noi ridevamo sotto i baffi. Non capivamo cosa stava portando di nuovo".
Sul Monza: "Serie A? C'è poco da ridere, secondo me ce la fanno... La trovo un'operazione fantastica, una cosa bella e farò il tifo per loro. Finchè non saranno in A ovviamente. La verità è che il calcio è una malattia da cui non guarisci più".
Su Gattuso: "Con Rino molti si sono dovuti ricredere. Noi abbiamo toccato con mano la sua capacità di parlare alla squadra e le abilità tecnico tattiche. Ha un grande senso d'appartenenza, proprio ciò che vogliamo trasmettere. La sua immagine sta cambiando, ora nei comportamenti e nelle cose che dice ha fatto un salto di qualità enorme. Non a caso ha la nostra fiducia".
Su Sacchi: "Un peccato non abbia allenato più a lungo. E' arrivato al Milan al momento giusto, anche se è stato così maniacale da restare prigioniero della sua mentalità. Lo stress lo ha consumato, ma una parte della sua filosofia è ancora attuale. Su di lui ho ancora gli incubi, no scherzo...".
Su altri allenatori: "Capello era sia manager che grandissimo allenatore. Per me in realtà è iniziato tutto con Liedholm, è lui che mi ha fatto debuttare ed iniziare a giocare. Ancelotti è stato un maestro nella gestione del gruppo, quel periodo me lo sono goduto".
Sul numero 3 ritirato: "Bello, ma provo anche un po' di vergogna. Però ne sono molto orgoglioso".
Su quanto era duro in campo: "Se occorreva, dieci. Mi considero corretto, ma una volta incontrai Maradona ad una premiazione, mandarono dei filmati e alla fine mi sentii di chiedergli scusa. Gli dissi: 'Non ricordavo di averti picchiato così tanto'. Insomma, ci sono situazioni particolari. Come quella volta con l'arbitro Moreno, in Nazionale. Io so un po' di spagnolo e tirai fuori davvero il peggio di me".
Sul derby: "Pensavo di essere molto più emotivo allo stadio, invece l'emotivo è Leo e io più freddo. L'importante sarà giocare per vincere e comunque non perdere per restare agganciati a quel treno. Con l'Inter partiamo alla pari".
Su Higuain: "Un campione vero. Ha alzato il livello della squadra non solo con i gol ma anche con il suo modo di allenarsi. Era importante anche quando non segnava, ora la sua leadership è più chiara".
Su Ibrahimovic: "Non credo ai giocatori ingombranti. Comunque si gestiscono con società forti, e noi lo siamo. Lui è stata un'idea estiva, ma chiaramente avere dei campioni in squadra fa piacere. Zlatan ha personalità ed è un campione. In generale, una squadra che vuole puntare in alto deve avere giocatori di personalità: i nostri ce l'hanno, ma gente come Higuain e Ibrahimovic aiuta a tirare fuori le potenzialità altrui".
Su Romagnoli: "Mi piace come capitano, l'idea è quella di trasmettere certi valori, lui li ha e puntiamo molto su Alessio. Così come su Cutrone. La speranza per chi arriva dal nostro vivaio è sempre la stessa: che diventi una bandiera".
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