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Gianluca Vialli, classe 1964, ex attaccante di Sampdoria, Juventus, Chelsea e della Nazionale Italiana, ha rilasciato una lunga intervista all’edizione odierna del ‘Corriere della Sera’.
Vialli ha ricordato come, prima di passare dalla Sampdoria alla Juventus, nel 1992, era stato cercato anche dal Milan di Silvio Berlusconi e dal Napoli, che all’epoca schierava ancora, tra le proprie fila, Diego Armando Maradona.
“Perché rimasi a Genova? Ogni volta Paolo Mantovani mi chiamava in ufficio, e mi spiegava la sua missione: sfidare lo status quo, ribaltare le gerarchie del calcio. Quando uscivo mi pareva di camminare sulle acque. Ero innamorato di lui, della squadra, dell’ambiente”.
Quindi, la parentesi bianconera, l’ultima Juventus di Giampiero Boniperti e Giovanni Trapattoni: “Due grandi. Boniperti lo sento ancora adesso, per gli auguri di compleanno. Duro, esigente, ma giusto. Il Trap era abituato a gestire il cavallo più forte; ma allora con il Milan si correva per il secondo posto. E questo il Trap non poteva accettarlo”.
Arrivò, dunque, Luciano Moggi a Torino: “Un dirigente che ti metteva nelle condizioni di dare il massimo; e i calciatori pesano i dirigenti da questo. Non dal mercato o dalla politica. Quella Juventus avrebbe potuto vincere 6 o 7 Scudetti su 10, rispettando le regole. Ma poi la gola ha fatto sì che tentasse di vincerli tutti, non rispettando le regole”.
Vialli ha anche parlato del rapporto, difficile, con nella Nazionale italiana: “Fu uno scontro di personalità. Ero abituato a dire quel che pensavo: con lui l’equilibrio tra tensione e serenità non c’era. Mi escluse, convinto che i miei dubbi avrebbero creato energie negative nel gruppo; e aveva ragione. Sbagliai io a rifiutare, quando per due volte mi richiamò, prima e dopo il Mondiale del ’94. Feci il permaloso. La maglia azzurra non si rifiuta mai”.
L’intervista, però, è stata realizzata per presentare il libro di Gianluca Vialli, “Goals. 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili”, dove la novantanovesima storia è la sua, personale, quella di una malattia devastante, il cancro.
“Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma non è stato possibile. E allora l’ho considerata semplicemente una fase della mia vita che andava vissuta con coraggio e dalla quale imparare qualcosa. Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene: i miei genitori, i miei fratelli e mia sorella, mia moglie Cathryn, le nostre bambine Olivia e Sofia - ha detto Vialli -. E ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano. Poi ho deciso di raccontare la mia storia e metterla nel libro”.
Vialli è stato operato, ha fatto un ciclo di chemioterapia durato otto mesi e sei settimane di radioterapia. “Ora sto bene, anzi molto bene. È passato un anno e sono tornato ad avere un fisico bestiale (ride, n.d.r.). Ma non ho ancora la certezza di come finirà la partita. Spero che la mia storia possa servire a ispirare le persone che si trovano all’incrocio determinante della vita. E spero che il mio sia un libro da tenere sul comodino, di cui leggere una o due storie prima di addormentarsi o al mattino appena svegli. Un’altra frase chiave, di quelle che durante la cura mi appuntavo sui post-it gialli appesi al muro, è questa: “Noi siamo il prodotto dei nostri pensieri”. L’importante non è vincere; è pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10 % di quel che ci succede, e per il 90 % di come lo affrontiamo. Spero che la mia storia possa aiutare altri ad affrontare nel modo giusto quel che accade”.
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