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La Redazione di PianetaMilan.it ha contattato in esclusiva il giornalista Mediaset Guglielmo Mastroianni, inviato della trasmissione Mattino Cinque e noto tifoso rossonero. Ecco le sue dichiarazioni sui principali argomenti dell'attualità milanista.
Partiamo dal derby. Quale sono state le sue sensazioni dopo la sconfitta contro l’Inter?
“Domanda facile, non ho ancora finito di bestemmiare. Io sto ancora in fase blasfemia, è stata una partitaccia, una partita in cui se c'era qualcosa che poteva sbagliare, il Milan l'ha sbagliata ad iniziare dall'approccio già del primo tempo ma ancora più irricevibile quello del secondo tempo. Si era tornati nello spogliatoio dopo una mezza sveglia e ringraziando Dio sotto di solo un gol, perché onestamente ne potevamo prendere di più. Avevi il sacrosanto dovere morale di ripresentarti in campo con un altro atteggiamento ma siamo riusciti ad avere un approccio addirittura peggiore rispetto a quello del primo tempo e questa cosa ha chiaramente condizionato tutta quanta la partita. E’ stata una partita che tecnicamente non ha detto chissà che cosa perché è stata una partita giocata molto sul filo dei nervi, delle emozioni e l’ha vinta la squadra che è riuscita a tenerci più la testa dentro che è appunto l'Inter. I nerazzurri non hanno fatto cose trascendentali, lo stesso Spalletti ha effettuato una mossa tattica quasi banale che però ha funzionato e ha portato indubbiamente dei risultati. Hanno vinto la partita con assoluto merito. Questo purtroppo è un qualche cosa che il Milan deve cercare di capire, cioè dove si è sbagliato. Per me si è sbagliato nell’approccio, probabilmente si è andati col braccino, cioè troppo leggeri, in una situazione in cui è necessario invece presentarsi incazzati. Sembravamo un asilo in gita con la classe di mio figlio di seconda elementare che va al parco bionaturalistico.. Non è così che mi aspetto che il Milan approcci la partita, senza nulla togliere comunque all’Inter che ha fatto una signora partita”.
Dopo questa sconfitta, si complica un po’ il discorso Champions per il Milan, anche se indubbiamente non è una sola partita negativa che può cambiare il giudizio di una stagione?
“Dipende da che tipo di effetto avrà sulla testa dei giocatori. Io ricordo lo scorso anno quando il Milan fece più o meno la stessa stagione, partenza complicata, momento difficile e poi improvvisa esplosione fino allo schianto contro la partita di Torino contro la Juve. Da lì in poi il Milan ha iniziato di nuovo a perdere punti e a perdere convinzioni, certezze e quindi ad interrompere la corsa al quarto posto. Rispetto ad un anno fa, in questa stagione abbiamo una posizione indubbiamente di vantaggio perché siamo stati terzi, adesso quarti, comunque con un vantaggio mal che vada di tre punti sulla Lazio che potenzialmente ne avrebbe 48 ma che deve venire a giocare a Milano. Quindi diciamo che il Milan ha tutta una serie di possibilità ancora intatte, però bisogna vedere come reagirà a livello mentale alla batosta del derby perché, per come si è perso, rimane comunque una batosta”.
Come giudica il lavoro di Gattuso e se, in caso di Champions, lo confermerebbe sulla panchina del Milan anche l'anno prossimo?
“Allora, io ho avuto modo già di dirlo anche in passato. La sensazione che io ho è che Gattuso non si sia ancora convinto di poter essere un allenatore da Milan. Mi spiego. Il fatto che la squadra riesca comunque a seguirlo, ad esclusione di quel momento terribile e inguardabile avvenuto in panchina durante il derby tra Kessié e Biglia, con la società che mi è sembrata essere molto presente e ha risolto la situazione nel giro di mezz'ora mandando entrambi a scusarsi davanti alle telecamere, a me sembra che la squadra sia comunque presente dimostrando un certo legame con il proprio allenatore. Questo dimostra che lui comunque con i giocatori ci sa fare, il problema è che secondo me lui deve capire che è un allenatore da Milan. Gattuso è una persona di una umiltà quasi imbarazzante, come lo era anche da giocatore e il suo modo di giocare dimostrava la sua umiltà, ma ho la sensazione che inconsciamente continui a ritenere di essere sulla panchina del Milan per caso perché si è ritrovato ad essere l'unica sostituzione possibile ad un allenatore esonerato qual'era Montella, essendo lui l’allenatore della Primavera, con il Milan che non poteva investire su altri allenatori. Gattuso non vorrei che inconsciamente credesse e continuasse a pensare che il suo posto su quella panchina sia quasi casuale: questo lo porta a giocare al risparmio, lo porta ad avere un atteggiamento sparagnino, lo porta a giocare col famoso e ormai celeberrimo baricentro basso. Io non credo che sia una questione di caratteristiche dei giocatori come dice Gattuso perché il Milan ha tutta una serie di giocatori in campo che tendenzialmente potrebbe tranquillamente giocare col baricentro più alto. Ad esempio non ci dimentichiamo che uno dei giocatori che noi consideriamo di rottura nel nostro centrocampo, Franck Kessié, in realtà potrebbe tranquillamente fare l'esterno alto in un 4-2-3-1 ed è un giocatore che è abituato a lanciarsi negli spazi, ad attaccare l'area di rigore. Giochiamo con Paquetà che in realtà è un trequartista e noi lo facciamo giocare mezzala, idem Calhanoglu, trequartista impiegato come esterno, Suso stesso è indubbiamente un esterno. Il Milan li mette in campo i giocatori che hanno le caratteristiche per poter giocare 20 metri più avanti come equilibrio di squadra, la sensazione che però ho io e che ciò che ricevano i giocatori sia una sorta di prima non prenderle che Gattuso, per una questione di umiltà, inevitabilmente tende a trasmettere ai propri giocatori. Quindi io credo che il problema non sia sulle capacità tecniche e tattiche perché poi abbiamo visto che quando i giocatori hanno un po' più di testa libera, sia nello scorso campionato che in questo, sono capaci di fornire prestazioni assolutamente all'altezza della situazione. Anche nello scorso campionato il Milan ha fatto partite importanti a livello offensivo: mi viene in mente la partita di Roma quando abbiamo vinto 2-0, ma anche in questo campionato, come la prima partita stagionale che poi hai perso 3 a 2 a Napoli ma che comunque stavi giocando in un certo modo. La partenza del derby è stata effettuata indubbiamente con una propensione ben precisa e per rendersene conto basta vedere lo spazio che c'era anche nei primissimi minuti di partita,fino al gol di Vecino, tra la linea dei centrocampisti e la linea dei difensori. Era evidente che lì Gattuso era partito con un idea di giocare un po' più alto. L'errore che ha commesso il Milan è stato quello, una volta preso il gol, di abbassarsi perché a quel punto tu non avevi più la necessità di stare indietro e hai creato un equivoco tattico che ti ha portato poi a non capirci sostanzialmente nulla per tutto il primo tempo. Quindi io credo che Gattuso debba convincersi di essere un allenatore da Milan e, in quanto allenatore da Milan, possa permettersi di trasmettere ai suoi giocatori un tipo di gioco che sia più votato ad una fase offensiva, condotta in maniera più organica, più completa, con più giocatori da portare nella metà campo avversaria. Finché lui non se ne convincerà, ahimè, credo che noi continueremo a vedere una squadra che giocherà bloccata con i terzini bloccati perché poi alla fine sono i terzini che ti fanno la differenza nello slancio da dare o meno ad una squadra. Noi abbiamo visto in passato che lo stesso Ancelotti, quando aveva bisogno di spingere molto e di alzare molto la squadra, giocava con Cafu e Serginho terzini. Quando invece magari non aveva bisogno di questo, uno dei due aveva caratteristiche meno offensive come Kaladze o lo stesso Stam a destra, quindi voglio dire che ci sono questo tipo di caratteristiche. Il problema è che noi stiamo giocando in questo periodo con due terzini, da una parte Calabria, dall’altra Ricardo Rodriguez, che hanno caratteristiche più conservative rispetto ad esempio ad un Conti e un Laxalt. Il giorno in cui noi vedremo il Milan giocare contemporaneamente con terzini Conti e Laxalt, io sono convinto che vedremo fatalmente una squadra più spinta in avanti. Con i terzini che spingono, infatti, si accompagnano i centrali. Accompagnando i centrali, salgono quelli di centrocampo ed ecco il baricentro più alto di 20 metri. Alla fine il calcio non è che è una cosa così complicata”.
Secondo lei, quindi sono necessari dei cambiamenti a livello tattico? Come vede questi primi mesi in rossonero di Piatek e Paquetà?
"A livello tattico il problema è questo. La squadra si regola in campo in funzione dei segnali che gli dà l'allenatore, dal momento in cui schiera una squadra in campo e dal momento in cui fa le sostituzioni. E’ evidente, faccio un esempio limite, ma è palese che se durante una partita sostituisci il tuo centravanti con un centrocampista, la squadra riceve il messaggio di coprirsi, di giocare in maniera diversa, quindi credo che i messaggi la squadra li riceva anche da questo tipo di scelte che l’allenatore fa prima e durante la partita. A me piacerebbe vedere una squadra che accompagni in maniera diversa. Faccio un esempio. Noi abbiamo in questo momento un giocatore fondamentale, Suso, che sta girando male perché evidentemente non sta bene e tende a gestirsi durante la partita. E’ una cosa che va avanti almeno da un paio di mesi: si potrebbe pensare di giocare con un 4-4-1-1, dove magari giochi con due esterni di centrocampo. A sinistra la scelta ad esempio non ci manca, magari però sul lato destro provi a giocare con Conti esterno di centrocampo e magari dare un turno di riposo a Suso. Per quanto riguarda i centrali, si potrebbe alternare Kessié, che credo abbia bisogno anche lui di un turno di riposo, con Bakayoko e Biglia e poi mettere dietro Piatek, una volta Calhanoglu, una volta Paquetà. In questo modo si possono far ruotare i giocatori e coprire meglio il campo. Soprattutto si avrebbe l'opportunità di avere più spinta perché dove non arriva Calabria in fase propositiva ci arriva Conti, dove non arriva Conti in fase difensiva, ci arriva Calabria. Faccio un discorso di caratteristiche di calciatori, non di valori, sia chiaro. In questo modo, soprattutto, avresti l'opportunità di accompagnare di più lo stesso Piatek che spesso e volentieri soffre di solitudine: permetteresti al Calhanoglu di turno, piuttosto che Paquetà, di giocargli più vicino, cosa che noi in questo momento non riusciamo a fare. Noi non riusciamo a portare qualcuno che giochi vicino a Piatek in modo da permettergli un eventuale scambio o di fare quel movimento ad elastico che fa di solito la prima punta, venendo incontro al pallone verso il centro del campo e lasciando alle spalle un vuoto in cui si può buttare la mezzapunta, l’esterno, la mezzala, il trequartista. In questo momento noi attacchiamo esclusivamente o con Piatek o con soluzioni da fuori area. Perché il Milan non prende rigori? Non è perché gli arbitri siano brutti, sporchi e cattivi. Il Milan non prende rigori perché non entra in area con il pallone. Il Milan non ha un giocatore che tenti di fare quello che ha fatto Politano nel derby in occasione del rigore con Castillejo. O per lo meno non lo vediamo. Gli esterni rossoneri giocano fuori dall'area di rigore e ce lo testimoniano, ad esempio, la classica giocata che fa Suso, ma anche Calhanolgu, Paquetà e lo stesso Castillejo quando viene chiamato in causa: non abbiamo giocatori che giochino palla a terra in area di rigore e se lo facciamo è solo per attendere eventuali traversoni o cross. In questo modo si costringe Piatek a giocare sempre da solo contro due, tre difensori centrali e non è semplice. Il polacco è un signor attaccante con il gol nel sangue che risolve le partite anche toccando soltanto uno o due volte la palla, ma non può essere sempre così e lo abbiamo visto nel derby. Se Piatek non tocca neanche quei due palloni, allora risulta inutile”.
C’è una polemica sui social in relazione al fatto che capitan Romagnoli venga spesso ammonito per proteste. Cosa ne pensa?
“Sui social mi sono limitato semplicemente a riportare una statistica. Per me è abbastanza anomalo che un difensore, che è anche il capitano della squadra, abbia preso in questo campionato sin qui sei cartellini gialli, che sono tanti, di cui nessuno per fallo da gioco. Per carità, ci sta che un difensore possa essere ammonito quando si interviene in maniera dura o per un falletto tattico. Ma nel caso di Romagnoli si trattano di ammonizioni non arrivate per falli da gioco e addirittura 5 su 6 per proteste. C’è chi dice che lui, ad esempio, sul rigore per l’Inter abbia protestato in maniera esagerata. Io penso che comunque un’ammonizione non sposti il problema generale: in un derby ci può stare una protesta veemente, soprattutto se riguarda un episodio che poteva portare il risultato sul 3-1, con il Milan che si stava riprendendo dopo il gol di Bakayoko e con l’Inter che si era molto spaventata per i rossoneri alla caccia del pareggio. Quindi era un rigore che potenzialmente poteva ammazzare le ambizioni di rimonta del Milan in un Derby teso e ci può anche stare che uno perda la brocca in quella circostanza, ma una volta. Noi invece abbiamo qui un giocatore che viene ammonito 5 volte su 5 e lo stesso giocatore che dopo Jeddah, cioè dopo la Supercoppa italiana, lamenta esattamente questo tipo di problema, cioè l’essere ammonito subito quando da capitano vengono chieste spiegazioni all’arbitro su una sua decisione. A me non sembra che il campionato di Serie A sia composto da verginelle educande che si rivolgono all'arbitro dando del lei e soprattutto siano esempi di virtuosismo educazionale. Noi vediamo invece la maggior parte dei giocatori che sono dei pazzi isterici che, giocandosi tanto, possono perdere le staffe, eppure non vedo tutte queste ammonizioni. Quindi secondo me ci deve essere qualche cosa che non va. E’ una statistica, è un'anomalia, poi magari non possiamo sapere se il buon Romagnoli va a protestare dall'arbitro e lo chiama ‘figlio de na mignotta’. Io sono stato arbitro per 12 anni e ricordo che soprattutto a certi livelli, in determinate partite che sapevo essere particolarmente tese, chiedevo ai giocatori in campo di non gesticolare mentre protestavano, di mandarmi anche a quel paese ma di non gesticolare perché poi il tutto diventa plateale e dovevo espellere. Questo è il rapporto che di solito si instaura sui campi tra arbitro e calciatori. Ora, visto che Romagnoli di solito è uno di quelli che vanno a protestare spesso tenendo le mani dietro la schiena per non gesticolare, è da capire quindi cosa questo gli abbia detto all’arbitro perché per me un capitano ammonito per proteste 5 volte in neanche tutto un campionato è quantomeno curioso, cosa inevitabilmente da approfondire. Altrimenti è normale che qualcuno si prenda la briga di controllare tutti gli episodi di una giornata e notare come spesso non si venga ammoniti nonostante una protesta gesticolata in faccia all’arbitro”.
Torniamo al Milan e nello specifico alla sua dirigenza. Come valuti il futuro societario rossonero, il lavoro di Leonardo e Maldini, il fair play finanziario e i possibili risvolti sul calciomercato?
“Per il prossimo futuro la situazione societaria del Milan credo sia abbastanza inquadrata, lo abbiamo visto esattamente nel post partita del derby quando Biglia e Kessié sono stati presi per le orecchie e mandati a scusarsi davanti alle telecamere. Sono le cose che mi aspetto da una società presente, da una società seria, da una società che interviene con decisione sui problemi. Abbiamo la fortuna di avere comunque nei nostri quadri dirigenziali a stretto contatto sia con Gattuso che con la squadra e quindi anche con la società, un monumento ambulante qual è Paolo Maldini che solo con la sua presenza fa aprire le acque del Mar Rosso. E questo ovviamente è un'arma in più. Abbiamo un amministratore delegato che sa fare molto bene il suo lavoro e ha almeno sin qui dimostrato di saperlo fare molto bene. Noi venivamo da Fassone a cui veniva rimproverato gli insuccessi quando era stato alla Juve, piuttosto che all'Inter, piuttosto che al Napoli. A Gazidis francamente non si può rimproverare nulla nel curriculum visto il suo ottimo lavoro fatto all'Arsenal. Abbiamo un direttore sportivo come Leonardo che comunque ha il suo peso anche a livello europeo, è un dirigente molto conosciuto anche perché comunque è stato un importante calciatore, anche capitano del Brasile. Facendo un parallelismo con la realtà cinese, prima avevamo persone a cui si rimproverava di aver fallito al Napoli e alla Juve, ora sicuramente non si può dire la stessa cosa. Prima avevamo Mirabelli che veniva considerato un ‘parvenu’, uno che non si sapeva chi fosse, che al massimo nel calcio ad alti livelli era stato osservatore o capo degli osservatori e comunque direttore sportivo soltanto nelle serie inferiori, molto inferiori. Adesso invece abbiamo comunque una persona che il calcio lo conosce e soprattutto il calcio conosce questa persona. Anche con Leonardo la questione ha indubbiamente tutt'altro tipo di sapore. Chiaramente adesso i risultati bisogna vederli sul lungo periodo, ma si può partire e attendere i risultati con un po' meno pregiudizio rispetto a Fassone e Mirabelli, per i quali il pregiudizio non nasceva dal fatto di essere due persone antipatiche ma proprio dal loro curriculum. I dirigenti di oggi hanno invece un curriculum di tutto rispetto, hanno nomi di tutto rispetto e quindi la società mi sembra che poi abbia dato anche un segnale importante di una certa presenza. Per quanto riguarda il fair play finanziario, bisogna capire che cosa accadrà adesso perché noi abbiamo un ricorso pendente al Tas che ancora non è stato fissato. Questo mi lascia pensare che tra UEFA e Milan un qualche accordo in maniera stragiudiziale, se non ancora è stato trovato, lo si sta trovando altrimenti credo che il Tas avrebbe già fissato la data dell’udienza. Peraltro, discutere il Tas ancora una volta nel pieno del mercato estivo non credo che interessi né al Milan né alla UEFA dato che un’eventuale sentenza nel mese di luglio possa cambiarti tutto in maniera improvvisa. Quindi io credo che loro stiano già trovando una sorta di accordo stragiudiziale per cercare di capire come ci si possa muovere sul mercato con mani non dico libere, cosa che non sarebbe giusta in una competizione sportiva che prevede il rispetto della concorrenza e della competitività, ma che non vada a danneggiare i propositi di rilancio di un investitore importante qual è il Fondo Elliott, quindi Singer padre e figlio, i quali mi smbrano abbiano fatto più di un pensierino sul l'idea di farsi un giro in maniera precisa sulla giostra Milan”.
In ambienti romani si parla spesso dei rossoneri su Milinkovic-Savic. Può servire davvero alla causa Milan? Ci sono possibilità di vederlo l’anno prossimo a Milanello?
“Sfido chiunque a dirmi una squadra a cui Milinkovic-Savic non serva. Stiamo parlando di un giocatore giovane, forte, importante, di prospettiva, che può ancora crescere. In Serie A non credo ci siano squadre che possano dire tranquillamente di non aver bisogno del serbo, anche la stessa Juventus. Che ci sia un interessamento del Milan per Savic penso sia ormai abbastanza acclarato. Circolano voci incontrollate sul suo futuro: l'ultima che ho ricevuto io mi parla di un accordo con il Milan già fatto per una cifra intorno ai 70/80 milioni, con un trasferimento che sarebbe praticamente effettivo con la qualificazione in Champions. Non lo so, onestamente, credo che al momento sia il caso di aspettare proprio perché dobbiamo prima di tutto capire che tipo di margine operativo economico avrà il Milan sul prossimo mercato e questo ovviamente non esclude il fatto che l’interesse per Savic sia reale, sia concreto. Ma ripeto ancora una volta giusto perché chi legge non si faccia strane idee: è evidente che finché non si capirà che tipo di soluzione ci sarà alla querelle Milan-UEFA, tutto quanto rimane nell’alveo delle ipotesi, per non dire addirittura delle congetture”.
Per chiudere, cos’è il Milan per lei? Come mai è diventato tifoso rossonero?
"Il Milan è una religione. Se ci fosse un segno nel milanismo come nel cattolicesimo c’è quello della croce, io lo farei tutte le mattine. Il Milan è una religione, un credo, è una fede, qualcosa che va oltre la passione. E’ una di quelle cose a cui pensi almeno quelle 15-20 volte al giorno, 365 giorni l'anno. Chiaramente è un qualche cosa che hai dentro e che assecondi perché ti rendi conto che ormai non ci puoi fare più niente. Comunque io morirò milanista, non dico disinteressato, disincantato, io sono sicuro che morirò con lo stessa componente di tifo che ho in questo momento alla mia età, perché è un qualche cosa che non va più via, come un marchio per capirci. Sono milanista perché provengo da una famiglia milanista. Sono calabrese, era rossonero il mio povero papà, in realtà lui era un po' disincantato, come dico io un po' democristiano, non era un estremista, era chiaro che era contento quando si vinceva ma non gli si guastava la giornata quando si perdeva, cosa che invece accade a me. In realtà sono diventato milanista per un mio zio, correva l’anno 1982/83, e il Milan giocava per la seconda volta in Serie B. Avevo 7 anni e la domenica sera dormivo dai nonni perché la mattina di lunedì i miei si svegliavano molto presto e quindi era un po' complicato portarmi a scuola. A casa di mia nonna abitava ancora mio zio che ancora non si era sposato e io ricordo che all'epoca i gol della Serie B si potevano vedere soltanto alla Domenica Sportiva più o meno intorno alle 23:00, 23:30. Io come tutti i bambini di 7 anni verso le 22 crollavo e mi addormentavo e mio zio aveva il compito, che si era auto imposto senza che nessuno glielo avesse mai chiesto ma credo che rientrasse nella sua forma di pedagogia milanista, di svegliarmi appena c'erano i gol alla Domenica Sportiva del Milan e io tutto assonnato mi guardavo i gol dei vari Pasinato, Canuti, Serena, Jordan, Verza, Battistini, Icardi e poi tornavo a dormire contento perché grazie a Dio in quella stagione il Milan vinceva molto bene, eccezion fatta per l’ormai tragica e famosa Cavese, dominando e conquistando a mani basse il campionato. Ero molto contento e ricordo la mia emozione l’anno successivo per il ‘mio’ primo anno in Serie A con il “mio” Milan. Era un Milan ovviamente dimesso, era un Milan che da lì a qualche tempo poi sarebbe diventato il grande Milan di Berlusconi però in quel momento era il Milan di Gerets e Blissett, però era già il Milan e io da lì in poi ho preso questa malattia per cui non esistono anticorpi e con la quale combatto quotidianamente”. Intanto,
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