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Ex Milan, Piscitelli: “Provocai Ibra. Potevo esordire, ma …” | Esclusiva

Fabio Barera Redattore 
Riccardo Piscitelli, portiere dell'Ujpest, ci ha parlato in esclusiva del suo periodo al Milan e di tanti altri temi molto interessanti

Riccardo Piscitelli, ex portiere del Milan, attualmente ha trovato la sua dimensione in Ungheria, in particolare all'Ujpest, storico club della capitale Budapest. Qui, infatti, l'estremo difensore ha messo insieme una serie di prestazioni positive che gli hanno permesso di essere eletto miglior giocatore della Nemzeti Bajnokság I per questa prima parte di stagione. E contestualmente di essere inserito nella Top XI stagionale invernale della massima serie magiara. 

Non solo, perché l'Ujpest, ad oggi, è la squadra con la miglior difesa del campionato, con appena 14 reti subite. Riccardo Piscitelli in particolare è il portiere con il maggior numero di clean sheet (8) e il migliore anche nella speciale classifica relativa ai cosiddetti expected goals. Con 4,59 gol salvati, infatti, si trova in testa alla graduatoria. Della sua parentesi in Ungheria e di tanto altro ha parlato a noi di 'PianetaMilan.it' in esclusiva.

Piscitelli: "Ecco come sono finito a giocare al Milan"

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Quando e come entri nel Milan? Raccontaci un po' il tuo inizio in rossonero

"Giocavo nella squadra di Arcore, dove risiedeva anche Berlusconi. Durante un torneo contro il Milan arrivammo in finale e quella fu la mia occasione. Riuscii a parare quattro rigori e fui premiato come miglior portiere del torneo. Dopo quella performance mi offrirono un provino e venni preso immediatamente. A 10 anni ho cominciato la mia carriera nel Settore Giovanile del Milan, per poi lasciarla a 19 anni quando sono andato per la prima volta a giocare tra i professionisti alla Carrarese, che al tempo era la squadra di Buffon, il cui procuratore, Silvano Martina, era anche il mio. Da lì è iniziata la mia carriera, quindi io ho fatto 9 anni nel Settore Giovanile rossonero".

Tu hai giocato con tanti calciatori che erano considerati talenti, chi più chi meno, tra Settore Giovanile e Nazionale. Politano, Belotti, Di Lorenzo, De Sciglio e Cristante sono solo alcuni esempi. Chi ti ha impressionato di più? E chi invece dava l'idea di essere un fenomeno, ma non ha mai rispettato le attese?


"Il talento che mi colpì di più ai tempi del Milan Primavera è stato Simone Verdi, un giocatore dal potenziale straordinario. Tra quelli che ritenevo molto promettenti ma che, per vari motivi, non hanno raggiunto i massimi livelli, mi vengono in mente Simone Crea, Simone Amelotti e Marco Gaeta. Erano giocatori incredibili, ma il calcio è anche fatto di dettagli: un infortunio, una scelta sbagliata, o semplicemente la mancanza di opportunità possono fare la differenza. Ai miei tempi, per un giovane, entrare nel calcio dei grandi era un’impresa titanica. Anche i talenti più promettenti dovevano aspettare anni per una chance".

"Ti faccio l'esempio su di me. Io a 19 anni stavo facendo grandi cose con la Primavera, ero in Nazionale, giocavo, ma avevo il procuratore che mi diceva 'No, è meglio che vai in Serie C a giocare'. Grandissima ca**ata. Lì è stato un errore, ma al tempo stesso lo capivo. Ai tempi non c'erano altre possibilità. Ai tempi il portiere 19enne veniva visto come un bambino. Oggi, invece, vediamo un cambiamento di mentalità: se sei bravo, vieni valorizzato subito, come nel caso di Donnarumma o del giovane Camarda. Questo cambio generazionale mi rende felice, anche se personalmente ne ho pagato il prezzo, finendo per costruire la mia carriera lontano dalle luci della Serie A".

"Vi racconto di quando risposi a Ibrahimovic"

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Rimanendo sul Milan, c'è qualche episodio che ti lega a coloro che erano in prima squadra? Magari risalente a qualche allenamento condiviso ...

"Sì, ho avuto la fortuna di allenarmi con la prima squadra durante la stagione dello Scudetto con Allegri. Fu un’esperienza unica, anche se non riuscii a esordire, perché il campionato si giocò fino all’ultima giornata. Un episodio divertente? Durante il mio primo allenamento con i grandi, c’erano i tiri in porta. Ero carico, pieno di entusiasmo. Ibrahimovic calciò una sassata e io la respinsi di pugno, dicendogli: ‘Dai Ibra, tira più forte!’ Tutti scoppiarono a ridere. Da quel momento, mi presero in simpatia".

A questo proposito, al di là dell'episodio, com'era Ibrahimovic?

"Ibra era duro, ma anche molto empatico. Capiva quando doveva essere severo ed alzare i ritmi ma al tempo stesso sapeva quando aveva a che fare con un giovane. I giovani li massacrava e li aiutava. Secondo me è un carattere che deve far parte di una squadra. La cosa bella è che in quel Milan c'era un mix di caratteri che era una cosa pazzesca. Avevi Ibra così con quel carattere, avevi Gattuso. Ma al tempo stesso avevi quelli che mitigavano, ossia Ambrosini, Nesta, Antonini, Seedorf. Un Milan di fenomeni".

"C'era Abate, c'era Pirlo che ad esempio non diceva una parola, ma dava la musica a tutta la squadra. Avevo davanti Pato: un talento così non l'ho mai visto. Quando andavano a fare le punizione si mettevano a calciare Aquilani, Pirlo, Seedorf, Ibrahimovic. Da portiere rosicavi che prendevi tante volte gol ma ti gasavi come un matto. Se volessi sognare chi vorrei che mi calciasse in porta è difficile dire tutti questi nomi insieme. Per me è stata un'esperienza magnifica sotto ogni punto di vista. Mi dispiace solo non essere riuscito a fare l'esordio".

Piscitelli: "Addio al Milan? Il problema è stato ..."

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Come mai hai lasciato il Milan?

"Non è stata una decisione facile. Il problema non era il Milan, ma la scelta della squadra in cui sono andato. Alla Carrarese trovai una situazione complicata: alcuni giocatori forti, ma il resto dell'organico era poco competitivo. Anche nei successivi trasferimenti, come a Benevento, le cose non andarono come speravo. Lì se fai una bella parata sei un fenomeno, ma se il giorno dopo sbagli qualcosa sei il peggiore della terra. Ho imparato che, nel calcio, la stabilità di una società è fondamentale per crescere. Nonostante le difficoltà, però, ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa e mi ha reso più forte".

"A Benevento io avevo De Zerbi che mi diceva 'Ricky io ti vedo tutti i giorni in allenamento e non hai niente di meno degli altri portieri, però purtroppo nell'ultimo anno e mezzo non hai giocato. Qua abbiamo preso due portieri e se anche dovessero fare male io come faccio a buttarti dentro'. C'era Brignoli che al di là del gol di testa all'ultimo minuto non aveva fatto bene. C'è stato Belec che ogni due partite faceva una papera e c'è stato Puggioni che è venuto a rubare soldi l'ultimo anno della carriera. Infatti siamo retrocessi malamente. In quel periodo non avendo giocato un anno non potevo andare a giocare in un'altra squadra. Sono stato costretto a rimanere lì e mi sono sorbito una prigione calcistica".

Ex Milan, Piscitelli: "Rimasi senza squadra per mesi. Poi misi dei video su Instagram e ..."

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Poi cosa è successo?

"Dopo un periodo complicato, rimasi senza squadra per alcuni mesi. Gli allenatori mi chiamavano e mi dicevano 'Ricky, noi ti conosciamo, siamo in dubbio perché è da un anno e mezzo che non giochi'. C'erano tante squadre che mi volevano, ma tra allenatori e direttori sportivi c'era sempre qualcuno che aveva il dubbio. Fu allora che, insieme a Jacopo Viola, iniziai a fare video su Instagram e YouTube, allenandomi e condividendo contenuti innovativi per i portieri. Non era comune all’epoca, e uno di quei video diventò virale, finendo su 433 con milioni di visualizzazioni. Poco dopo, mi contattò il Carpi in Serie B. Da lì decisi di andare all’estero, in Romania e poi in Portogallo, dove continuai a crescere e a vivere esperienze uniche. Alla fine, sono arrivato in Ungheria, dove mi trovo benissimo, giocando nell’Ujpest, una squadra storica con un grande ambiente".

"Il periodo a Benevento mi ha reso uomo"

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Quale esperienza ti ha reso uomo?

"Sicuramente il periodo a Benevento. Fu una fase molto difficile, ma imparai a rialzarmi e a trovare la mia strada. A Carpi ho stretto amicizie con persone con cui vado in vacanza tutt'oggi. In Romania ero là con Mattia Montini e Diego Fabbrini, due italiani, e ancora oggi i tifosi della Dinamo mi scrivono su Instagram dopo sei anni. In Portogallo è stata un'esperienza bella perché è anche una lega un po' più importante, ma abbiamo avuto una sfortuna".

"Abbiamo fatto un bell'anno, e il nostro obiettivo era salvarci, ma poi abbiamo subito quattro sconfitte di fila. Il presidente ha voluto cambiare allenatore ed è arrivato il peggior allenatore della mia vita, Manuel Machado. Da quando è arrivato lui le abbiamo perse tutte praticamente e siamo retrocesse. Quando ho ricevuto un'ottima offerta dall'Ungheria sono andato lì. Ora gioco con Krisztián Tamás, con cui ero in convitto insieme al Milan. È stato bello ritrovarsi. Qui in Ungheria sto vivendo una delle fasi più belle della mia carriera".

Consiglieresti ad un giovane di andare all'estero? 

"Assolutamente sì. Innanzitutto c'è da dire che c'è molta presunzione e arroganza in Italia quando si parla di un campionato che non è tra i top 5. Vivere e giocare all’estero ti apre la mente, sia dal punto di vista calcistico che umano. In Italia c’è ancora molta presunzione verso i campionati non top, ma basta vedere squadre come il Ferencvaros o il Puskas per capire che il livello è competitivo. Andare all’estero è un’esperienza che consiglio a chiunque: ti aiuta a crescere e a scoprire nuove realtà".

Piscitelli: "Milan attuale non paragonabile a quello dei miei tempi"

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Esistono gli amici nel calcio? 

"La vedo come la vita in generale. Gli amici veri sono due o tre, vale un po' per tutti. Nel calcio come nella vita più di 4 o 5 amici stretti non te li puoi tenere. Io ne ho quattro o cinque e Jacopo per me è come un fratello. A Carpi ho legato con Alessio Sabbione, Mattia Montini e Diego Fabbrini in Romania. Qui in Ungheria ho legato con tre o quattro ragazzi".

Cosa pensi del Milan attuale?

"Il Milan attuale non è paragonabile a quello dei miei tempi, ma stiamo vivendo una rivoluzione calcistica. Da tifoso milanista spero di rivedere presto una squadra dominante come quella che ho avuto la fortuna di vivere da vicino".

Cosa hai in mente per il futuro?

"Il mio obiettivo principale è continuare a giocare finché il fisico me lo permetterà. Il calcio non è solo un lavoro, è parte della mia anima. Qui in Ungheria mi trovo benissimo, ma sono aperto a qualsiasi opportunità di vita o di carriera che il futuro vorrà offrirmi".