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La maglia numero 10, nel calcio, è per antonomasia sinonimo di prestigio e qualità. Storicamente è stata indossata da giocatori dal calibro offensivo (atleti dal centrocampo in su per intenderci): attaccanti, trequartisti, registi. Una delle maglie più ambite, insomma, che nel calcio moderno addirittura non è impossibile da trovare anche sulle spalle di portieri o difensori. Nel Milan la storia parla chiaro: Nils Liedholm, Juan Alberto Schiaffino, Gianni Rivera, Ruud Gullit, Dejan Savicevic, Zvonimir Boban, Manuel Rui Costa e Clarence Seedorf sono stati i giocatori di maggior spessore che hanno avuto l’onere e l’onore di vedere sulla maglia a strisce rosse e nere il proprio nome stampato sopra il numero 10. Giocatori capaci di fare la differenza sempre e comunque ma soprattutto di illuminare dal nulla, con un lampo di genio, le partite più ardue in cui non si riusciva a sbloccare il risultato. Anche altri giocatori milanisti hanno avuto modo di indossarla: ricordiamo Roberto Antonelli, Vinicio Verza, Chicco Evani fino ad arrivare ai giorni nostri con Kevin Prince Boateng ed oggi Keisuke Honda. In ordine cronologico, l’ultimo grande interprete di questo numero, a detta soprattutto dei tifosi, è stato “il professore” Seedorf.
Dopo di lui, proprio Boateng e Honda. Il ghanese in 3 stagioni e mezzo ha brillato solo nel suo primo anno a Milanello (quando indossava la numero 27) mentre il giapponese, che dal Gennaio 2014 ha ereditato la numero 10, è sempre stato in chiaroscuro con le sue prestazioni che si dividono tra luci e ombre. Si tratta certamente di due professionisti che hanno sudato e dato parecchio per il Milan ma che spesso non hanno risposto con costanza alle caratteristiche degli eccelsi predecessori capaci tra l’altro di trascinare la squadra e mettersela sulle spalle nei momenti di difficoltà.
Nel calcio di oggi, quello 3.0, il marketing è diventato una delle colonne portanti delle società sportive che cercano di allargare il proprio merchandising e svilupparlo in nuovi mercati finanziari quindi in nuovi Paesi come appunto quelli asiatici. La numero 10 sulle spalle di Honda, dunque, potrà pur essere una fruttuosa operazione commerciale utile economicamente alla società ma i nostalgici dei vari Rivera, Gullit o Seedorf preferiscono maggiormente chi fa la differenza nel campo e non nel portafoglio, preferiscono che l’estro e la fantasia che rievoca la numero 10 possa essere affidata ad un vero jolly o magari ad un “Jack” (come Bonaventura).
Antonio Gatto
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