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Demetrio Albertini (credits: GETTY Images)
NEWS MILAN - Demetrio Albertini, ex calciatore del Milan, ha rilasciato un'intervista alla Gazzetta dello Sport: "Con il coronavirus il calcio ha preso coscienza dello stato dell’arte. Ora la cosa più importante è organizzare la ripartenza. Pianificare. Anche club come Barcellona e Real Madrid pagheranno il prezzo della crisi, ma ha ragione anche l’Aic: i calciatori faranno sforzi, in Italia però ci sono situazioni diverse da valutare".
Il taglio stipendi della Juve è una via valida?
"E’ quella da seguire, ma non c’è una legge quadro e si spera che ognuno si attenga alle decisioni della Lega. Il calcio non è un mondo a parte, non c’è bisogno di supereroi, ma di entrare nel mondo degli altri. Il virus porta all’uguaglianza. Nulla sarà come prima. Questo è un momento triste che resterà nella storia. Il messaggio che do ai miei figli è che devono fare qualcosa di eccezionale, come hanno fatto i nostri nonni nella seconda guerra mondiale".
Ha litigato su Instagram con Inzaghi sulla ripartenza dei campionati.
"Non ho litigato, siamo amici e con Pippo non ho problemi. Ma mi dà fastidio che si pensi che se non ripartiamo c’è sotto qualcosa. La priorità è la salute. Anche io vorrei che si tornasse a giocare, anche io vorrei uscire di casa, oggi, anzi ieri. Ma se uno pensa al convoglio tragico di Bergamo non può non concordare che il primo dovere è riflettere. Anche io come tutti ho perso qualcuno che conoscevo. I social sono spesso una questione di pancia, volevo esprimere il mio dissenso con certe frasi. Comunque, entro aprile dovremo capire se giocare o congelare".
Da presidente del settore tecnico della Figc come vive questo momento?
"E’ complicato, dovremo congelare i campionati dei settori giovanili, quando abbiamo dovuto decidere sul blocco o meno dei corsi per allenatori sul territorio c’è stato caos perché le situazioni erano diverse. Ma ora la priorità è la ripartenza. Salute, organizzazione, poi occhio alla situazione economica: le condizioni gravissime dell’Italia avranno ripercussioni sulle aziende dei presidenti e da lì su quelle dei club".
Come si stanno comportando gli italiani?
"Io sono orgoglioso di essere italiano, anche se siamo a volte un po’ superficiali. Ma questo paese nelle difficoltà ha un senso di appartenenza che pochi hanno e un grande senso di solidarietà. Adesso però dobbiamo pensare al futuro, perché un dopo ci sarà".
Le sembra che i presidenti del calcio siano meno litigiosi?
"Mi sembrano giustamente preoccupati, ma abbiamo bisogno di tre leghe unite. Poi ci sono sempre i più fantasiosi, come quelli che propongono di giocare la fine dei campionati al sud".
In questo scenario, la Uefa è stata tempestiva?
"Secondo me no, anche se è vero che fare valutazioni in situazioni del genere non è semplice. Abbiamo visto che cosa è capitato all’estero anche a ministri e capi di stato".
A proposito di politica sportiva e di Milan, che impressioni ha ricavato dall’addio di Boban?
"Secondo me al Milan c’è grande confusione. Poi, da una parte c’è un amico e dall’altra una persona, Gazidis, che ho incontrato poche volte. Credo che il Milan abbia perso un elemento valido, ma è come in uno spogliatoio: se ci sono tanti fuoriclasse, tante teste che non vanno d’accordo, è inutile cercare la colpa. Non è che qualcuno abbia sbagliato, alla fine è sbagliata la stagione e chi ci rimette è il Milan. Adesso serve un progetto sportivo chiaro, ripartire ogni anno da zero non serve. Se il Milan è soltanto un progetto economico, che lo dicano".
E’ d’accordo con la politica dei giovani?
"Investire sui vivai è giusto, ma i giovani in Italia non bastano. Servono giocatori esperti per far crescere i giovani e lo dico per vita vissuta. I giovani non possono avere continuità. E poi bisogna creare un senso di appartenenza. I club italiani hanno bisogno di italiani: parlo del Milan, ma anche della Juve o dell’Inter, che guarda caso ha preso Sensi e Barella. A Madrid, per quanto possano spendere sul mercato, i tifosi si arrabbiano se non vengono ingaggiati giocatori spagnoli, ed è lo stesso ovunque. Io sono cresciuto in una squadra forte, ho vinto grazie agli olandesi e a Weah e Boban e altri, poi c’eravamo noi. Senso di appartenenza e giocatori esperti: senza questo i giovani non bastano".
Dunque lei da dirigente rinnoverebbe il contratto di Ibrahimovic?
"Lo sport è emozione, il Milan sembrava una pozza d’acqua e Zlatan è stato il sasso gettato nello stagno. Ha creato emozioni. E ha dimostrato che può ancora giocare in Serie A, magari non tutte le partite, ma questo conta poco".
Se la chiamasse il Milan adesso che cosa risponderebbe?
«Da dirigente ho imparato a non parlare di ipotesi».
Il Financial Fair Play in un mondo che crolla andrebbe cambiato?
"Andrebbe rivisto. Credo che nella nuova uguaglianza sia difficile mantenere certezze. Quando l’emergenza passerà, tutto cambierà. E noi dobbiamo essere pronti al cambiamento". Intanto ha parlato anche Stefano Pioli. Ecco cosa ha detto, continua a leggere >>>
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