Franco Baresi, ex capitano del Milan ed oggi vicepresidente onorario del club rossonero, ha rilasciato un'intervista in esclusiva al 'Corriere della Sera' oggi in edicola. Ecco, dunque, le dichiarazioni più importanti di 'Kaiser Franz'.
INTERVISTE
Baresi: “Milan, una seconda famiglia. Tognazzi il fan più assiduo”
Milan, Baresi si racconta al 'CorSera'
—Sugli apprezzamenti del regista Werner Herzog: "Sono rimasto molto sorpreso. Non è un uomo che si occupa di sport per lavoro. Che sappia chi è Franco Baresi è curioso, anche se, certo, la cosa mi ha riempito di gioia. Ci siamo anche conosciuti e abbiamo parlato a lungo".
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Baresi sull'essere una leggenda del Milan: «Che parole grosse. Sono solo uno che è nato nel 1960 a Travagliato, nella campagna del bresciano, e che ha avuto la fortuna di sentirsi “libero di sognare”. E in effetti ho voluto dare proprio questo titolo alla mia autobiografia, scritta assieme a Federico Tavola. Sono stato fortunato ad ascoltare i miei sogni. E a trovare sulla mia strada persone che mi insegnassero ad ascoltarli».
Su quanto spazio per i sogni c'era nella sua umile famiglia: «E non le dico del “prete”, cioè quella specie di attrezzo di legno nel quale si metteva un catino pieno di braci per far riscaldare il letto freddo. È vero, non era facile sognare per un bambino nato in una famiglia contadina e cresciuto in un casale, tra mucche e trattori. Ma mia madre Regina era una donna che curava minuziosamente la pulizia e l’ordine di noi figli».
Sul fratello Giuseppe Baresi, amato ma rivale nel derby con l'Inter: «Lui è arrivato a Milano, all’Inter, prima di me, e quando mi ha preso il Milan, per un periodo iniziale, abbiamo condiviso la casa. Tutto bene fino a quando arrivava la settimana del derby: presto ci saremmo dovuti sfidare e dunque per forza dovevamo essere rivali. Diciamo che qualche volta il mio piede è stato più leggero quando ha incontrato lui».
Sul vivere carriere simili con il fratello: «Se lo immaginavamo? Ma va. Non guardavamo la tv, figuriamoci andare allo stadio. Io non sapevo nemmeno chi fossero Pelé o Cruijff. Poi però, a dieci anni, mi capitò di vedere quella che per noi italiani ancora oggi è la partita, cioè la semifinale contro la Germania ai Mondiali del Messico. Una folgorazione. Cominciai allora a sognare».
Su chi sarebbe voluto diventare: «Forse Pierino Prati».
Sulla Lombardia che ha dato molti talenti al calcio alla sua epoca: «Vede, tutto nasceva dalla passione di ogni giorno. Noi cominciammo a giocare nell’aia del casale con un pallone di cuoio, poi un giorno arrivò un prete, don Piero Garbella, che ci incoraggiò a seguire i sogni. Il calcio vero cominciava alla maniera contadina: coltivando i ragazzi nei luoghi dove erano nati, osservandoli nel cortile degli oratori. All’Unione Sportiva Oratorio Travagliato c’era la regola di andare a dormire alle 10 di sera. Io lo faccio ancora adesso, pensi un po’».
Sul suo arrivo a Milanello: «Se me lo ricordo? Eccome. Non mi sembrava vero di vedere da vicino Gianni Rivera, Nils Liedholm, Nereo Rocco. Ricordo la prima gara in Serie A, contro il Verona. In trasferta. Vincemmo e negli spogliatoi mi si avvicinò Nereo, all’epoca direttore tecnico, che mi fece: “Ma t’ha giugà anca ti?!”».
Sul Milan come seconda famiglia: «Certo. Io ho perso mia madre a tredici anni, mio padre a diciassette. Io nelle cose ho sempre cercato stabilità. Nel lavoro, nello sport, nella famiglia. Lo sa che lo scorso 10 settembre abbiamo raggiunto i trentotto anni di matrimonio con mia moglie? E stiamo insieme da 40».
Su come ha conosciuto la moglie Maura Lari: «Maura serviva ai tavoli del ristorante Piccolo Alleluja di Montevarchi. Era la figlia del proprietario. Il massaggiatore del Milan, Paolo Mariconti, si accorse che io guardavo rapito quella bellissima ragazza bionda. E allora mi tirò la volata e le disse: “Signorina, per favore serva prima lui, perché è il capitano”. Arrossii. Ma da allora io e Maura non ci siamo più lasciati e ogni anno festeggiamo il giorno che ci siamo sposati».
Sul fatto di essere un uomo d'emozioni: «Molto. Ho pianto tanto nella mia partita d’addio. E il mio è stato un pianto di gioia, perché vedere tutti quei tifosi e quei colleghi che mi festeggiavano è stata un’emozione mai vissuta. Poi una volta in uno dei club rossoneri mi lessero la lettera di un tifoso. Piansi anche lì».
Sul suo fan più assiduo: «Diciamo fan del Milan. Boh, forse Ricky Tognazzi, simpatico e intelligente. Ma nominarne uno vuol dire fare torto a tutti gli altri».
Su Diego Armando Maradona: «Una volta disse “Baresi è uno dei migliori”. Detto da un campione immenso come Diego come fai a non commuoverti?».
Sui figli Edoardo e Gianandrea: Uno si occupa di finanza, l’altro di arte. Ci vediamo e ci sentiamo spesso. Diventare nonno? È un pensiero che ricorre. Vedremo».
Sui consigli che dà alla nipote Regina Baresi, figlia di Giuseppe, calciatrice: «No, lei ha un padre che in questo è migliore di me. Qualche volta abbiamo commentato il calcio femminile: in Italia siamo ancora molto indietro in questo, penso che ci siano potenzialità grandi da esplorare».
Sul suo sogno ricorrente: «Sogno spesso la prima Champions vinta al Milan. Vede, io ho vissuto tante epoche diverse nella squadra, compresa la retrocessione. Ci sono stati alti e bassi molto profondi e se ancora oggi sono qui, in rossonero, non è perché io mi senta “una bandiera”, ma è perché anche qui ho cercato la stabilità. Ho ragionato per fasi, come si fa nelle famiglie. Ho cercato un equilibrio».
Sul come vive le cose: «Tendo a consolidare i legami, a vivere le cose con intensità. Quando Berlusconi decise di ritirare la maglia numero 6 come omaggio a Franco Baresi, per me fu un qualcosa di enorme, anche perché era un avvenimento inedito in Italia. Non me lo aspettavo».
Su Arrigo Sacchi: «Era molto esigente, chiedeva il massimo. Poi, nei ritiri, veniva a controllare se di notte dormivamo e allora, quando lo sentivamo arrivare, scattava il momento “spegni la luce”. Lui ci sgamava puntualmente e allora si metteva a chiacchierare con noi di strategie e di formazioni».
Sulla cosa più avventurosa che ha fatto: «A parte certi momenti di calcio, non ce ne sono state. Potrei dirle che è stato il viaggio che mi è capitato di fare in Amazzonia, tra i nativi e gli abitanti della foresta. Potrei dirle il volo sul Concorde. Ma mi piace risponderle che per me è stato emozionante poter dire di aver conosciuto tre Papi».
Su cosa fa quando non pensa al calcio: «Non faccio cose particolari. Leggo, amo le parole crociate, mi piace passeggiare, guardo le partite di basket e soprattutto di tennis».
Su chi sceglierebbe tra Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic: «Federer, che domande. Credo che sia una combinazione di talento e grazia. Quel momento che cerchiamo tutti». Dalla Spagna, 'Milan, colpo dal Barcellona': le ultime news >>>
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