INTERVISTE

Inzaghi si confessa: “Tutto su Milan, Champions, Berlusconi e ritiro”

Daniele Triolo Redattore 

Filippo Inzaghi, ex giocatore e allenatore del Milan, oggi tecnico della Salernitana, si è raccontato al 'Corriere della Sera'. Le sue parole

Filippo Inzaghi, ex giocatore ed ex allenatore del Milan, oggi tecnico della Salernitana in Serie A, ha rilasciato una lunga e interessante intervista al 'Corriere della Sera' oggi in edicola. Ecco, dunque, uno stralcio delle sue dichiarazioni più interessanti.

Ex Milan, le confessioni di Pippo Inzaghi al 'CorSera'

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Su come sono i 50 anni compiuti da qualche mese: «Sereni. Ho fatto tante cose, ho vinto e ho perso. Se fino a pochi anni fa lei mi avesse chiesto che cosa viene prima nella mia vita io le avrei risposto senza dubbio “il pallone”. Oggi le dico “i miei due figli”».

Sulla sua autobiografia, "Il momento giusto", incrocio di casualità e determinazione: «Da quando ero un ragazzino che giocava nel campetto di cemento di San Nicolò di Piacenza, ho lavorato per diventare un bravo calciatore. Anzi, un grande calciatore: un giorno mi apparve “il fantasma” di Gerd Müller, lo storico attaccante del Bayern Monaco e della Germania Ovest, che aveva segnato 69 reti nelle coppe europee. Ero un ragazzo, rimasi folgorato. Il giorno che ho superato il record di Müller è stato tra i più belli della mia vita».

Sulla finale di Champions League del 2007 tra Milan e Liverpool decisa da lui: «La doppietta contro il Liverpool è stata il mio momento più giusto. Due a uno e i tifosi impazziti. Ma lo sa che Silvio Berlusconi me lo aveva predetto alla vigilia?».


Sull'aneddoto di quel match: «La mia presenza in campo è stata in dubbio fino a poche ore prima. Non ero al massimo e si stava già scaldando Alberto Gilardino, poi Carlo Ancelotti si impuntò. E Berlusconi mi telefonò. “Sono sicuro”, mi disse, “che lei domani farà due gol”. E così fu. Naturalmente, alla fine della partita, il Presidente mi chiamò per complimentarsi ma anche per dirmi “Glielo avevo detto io”».

Su Berlusconi: «Mi manca molto. Ma di quel Milan mi mancano tante persone. Ancelotti, per dire. È un uomo intelligente, umano, presente. Una volta per il mio compleanno, che cade il 9 agosto, lasciò libera tutta la squadra per farci festeggiare. Compivo trent’anni: nessuno ci pensa mai, ma la tensione per un calciatore aumenta con l’età».

Sulle pressioni e gli acciacchi fisici dell'età: «Io ho smesso a 39 anni, oggi un’età ancora molto giovane, ma per noi non è così. Ricordo quando rimasi in Belgio un mese perché mi ero fatto male a una gamba. Il compleanno peggiore di sempre. Ma Ancelotti mi mandò un sms: “Tornerai grande”, diceva. Chissà, pensavo io. Non si è mai sicuri di niente quando si gioca a quei livelli».

Sulle difficoltà nello smettere di giocare: «Ricordo benissimo i miei ultimi quattro minuti in campo. Era il 13 maggio 2012, ore 16:45. In verità, per me quelli dovevano essere gli ultimi minuti con il Milan, poi si sono trasformati nei definitivi ultimi. La cosa buffa è che pensavo al ritiro da tempo, come ogni uomo coscienzioso: farò altro, ho vinto tanto, mi dicevo. La verità amara è che la tristezza non la puoi controllare e così, dopo, sono stato malissimo. Per fortuna che c’era la mia famiglia: mamma, papà, mio fratello».

Sul ritiro: «Io da calciatore ho sempre odiato la panchina, ma poi ne ho fatto un lavoro, come allenatore, perché io lontano dal campo non ci so stare. Non è debolezza, è umanità. E così si spiega anche perché, da allenatore, sono passato dal Milan al Venezia, cioè Lega Pro: “Tu sei pazzo”, mi dicevano, perché avrei potuto aspettare e trovare di meglio. Ma come avrei fatto per mesi interi senza l’erba del campo?».

Sulla superstizione: «Non sono superstizioso, ma avevo una canzone-talismano, che cantavo sempre durante il tragitto fino allo stadio, prima di una partita, “Certe notti”, di Ligabue. Tifa Inter? Lo so, ma mi ha sempre portato fortuna».

Su Laura Pausini, di fede milanista: «Laura è una grande amica. Quando, nel 2003, festeggiammo la vittoria della Supercoppa Europea ci ritrovammo tutti intorno a un pianoforte, con lei che suonava e io, Adriano Galliani, Massimo Ambrosini e gli altri che cantavamo le sue canzoni. Molte delle mie vittorie sono state accompagnate da messaggini affettuosi di Laura».

Sulla prima parola che gli viene in mente se gli nominano Galliani: «Corteggiamento. Mi ha corteggiato a lungo quando ero a Torino, certo. Ma Galliani è una persona speciale, sa essere intelligente e lungimirante. Fu lui a offrirmi subito la panchina di allenatore Allievi Nazionali rossoneri dopo l’addio al campo da giocatore».

Sul rinunciare a tanti soldi quando passò dalla Juventus al Milan nel 2001: «Galliani mi telefonò: “Pippo, ballano cinque miliardi di lire e non riusciamo a trovare una soluzione”. D’istinto, risposi: “Non si preoccupi, ce li metto io”. Avrei firmato un contratto di cinque anni e rinunciato a un miliardo di stipendio per ciascuna stagione».

Su come reagirono i suoi genitori a questo gesto: «Applaudirono. Perché loro ci hanno sempre insegnato a inseguire il cuore e non il portafoglio. Oggi li ringrazio anche per questo».

Su Barbara Berlusconi: «Gentilezza. Gelo? Ma no, lei mi ha aiutato. In generale, tutta la famiglia Berlusconi mi ha aiutato, la mia maglia ce l’ha Luigi, che ho incontrato in vacanza».

Su cosa rappresenta per lui il fratello Simone: «Potrei risponderle “tutto”. Sa che non abbiamo mai litigato? Cosa rarissima tra fratelli. Ogni volta che uno dei due finisce una partita, la prima telefonata è per l’altro».

Sul fatto che si somiglino moltissimo: «La verità è che adesso lui è quello famoso e per strada capita che mi chiamino Simone. Non può che farmi piacere, anche perché so bene che cosa vuol dire allenare una squadra a grandi livelli».

Su Franco Baresi che ha confidato di sognare sempre la finale di Champions League: «Io no, anche perché dopo la doppietta alla finale di Atene non dormii per dieci giorni di fila».

Su cosa gli fa venire in mente Torino: «Una strana gioia. Certo, non quella gioia piena che mi dà San Siro, però anche il periodo con la Juve è stato bello. Quando battei il record di Müller tra i messaggini che arrivarono c’era anche quello di Andrea Agnelli».

Su un altro esempio di calcio 'etico': «Il 24 marzo 1996: giocavo con il Parma e quel giorno sfidavamo il Milan che stava volando verso lo Scudetto. Inseguii un pallone sul quale c’erano Paolo Maldini e Franco Baresi. Li spinsi, puntando sull’astuzia: loro si scontrarono e caddero, io andai verso la palla. Ma Paolo e Franco si allearono, mi raggiunsero, entrarono insieme e mi sollevarono da terra».

Sul suo primo gol a 'San Siro': «Il 3 novembre 1996, con la maglia dell’Atalanta. Dribblai Alessandro Costacurta e chiusi con un destro violento sotto la traversa. Doppia ammonizione, prima espulsione in Serie A. Ma da allora in tutta la carriera in campionato non avrei più preso un cartellino rosso». LEGGI ANCHE: Leao: "I tifosi mi hanno baciato i piedi!". Le rivelazioni di Rafa >>>


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