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Pastore: “Il più forte con cui ho giocato? Ibrahimovic. Su Ancelotti …”

Redazione
In un’intervista esclusiva, l’ex trequartista del PSG, Javier Pastore ha rilasciato una lunga intervista dove ha ripercorso tutta la carriera

Javier Pastore, un nome che evoca ricordi indelebili nel panorama calcistico. Descritto da Diego Armando Maradona come un "maleducato del calcio" per la sua naturalezza e il suo dominio del pallone, Pastore è un giocatore che ha saputo incantare i tifosi con il suo stile elegante e la sua visione di gioco.

In un’intervista esclusiva con Flashscore Italia, l’ex trequartista del Paris Saint Germain si è aperto su un percorso professionale che è iniziato nella soleggiata Palermo. Qui, il talento di Pastore ha brillato, attirando l’attenzione di molti, compreso il leggendario Maradona, che nel 2010 lo convocò per la Nazionale argentina. Quella convocazione rappresentò un momento decisivo nella sua carriera, permettendogli di condividere il campo con uno dei più grandi di sempre: Lionel Messi.

Il riferimento del titolo del libro di Maradona (Io sono il Diego della gente) :  Come fai a non essere vicino alla gente che ti ama per quello che ami fare? Noi calciatori dobbiamo tanto ai tifosi, perché loro ci apprezzano in quanto tali. Non saremmo nessuno senza la gente, ed è per questo che mi piace stare tra i tifosi. È una ricompensa che ci diamo gli uni con gli altri.

La convocazione da parte di Maradona in Nazionale:Fu un’emozione incredibile. Andai in Sudafrica allenato dal miglior giocatore della storia e come compagno di squadra avevo Messi, il miglior giocatore del momento. Ho avuto la fortuna di poter condividere tutto con loro, dalla colazione alla cena passando per gli allenamenti e tanti altri momenti, e avevo appena 20 anni… Diego era dolcissimo con tutti noi. Alle undici di sera veniva a bussarci in camera e ci chiedeva come ci sentissimo, se i nostri familiari che ci avevano accompagnato in Sudafrica stavano bene. Si metteva a disposizione di tutti. E quel suo definirmi un “maleducato del calcio” aveva fatto tantissimo rumore (ride). 


Il passato in comune con Maradona (entrambi hanno giocato nel Sud Italia): Arrivai al Palermo con tante aspettative, non dimenticherò mai l’accoglienza della gente all’aeroporto. Ricordo di aver vissuto tanto la città e la vicinanza della gente, con la quale mi potevo rapportare facilmente, essendo argentino. Palermo è una città stupenda, e li ho conosciuto anche mia moglie. Sono ormai 14 anni che siamo insieme e dico sempre che ho un pezzo di Palermo nel cuore.

Il trasferimento al PSG:All’epoca era una cifra record per il Psg, dove arrivai come primo grande acquisto della proprietà del Qatar. Hanno creduto tanto in me e insieme al Palermo è la squadra che continuo a seguire con tanta passione.

Il fattore "pressione", visto il grande esborso economico del PSG:Assolutamente no. In realtà, in campo non ho mai sentito pressione, ho sempre giocato come mi veniva, in modo naturale. L’unica cosa alla quale pensavo era di giocare, non sentivo quasi nulla attorno a me, anche se poi tornando indietro vedendo le immagini mi rendo conto di aver vissuto dei momenti davvero strepitosi dal punto di vista calcistico.

Il goal contro il Chelsea nella Champions del 13/14: Onestamente credo di aver giocato varie partite di livello, ma è ovvio che quell’azione fatta di vari dribbling culminata con un gol contro una grande squadra come il Chelsea segnò un momento indelebile, soprattutto perché mi avvicinò ulteriormente ai tifosi. Quando vidi le reazioni in video da parte loro, con gente che si metteva le mani nei capelli per l’incredulità della giocata rimasi sorpreso anch’io. Ed era in quel momento che avevo effettivamente realizzato di aver fatto qualcosa di magnifico.

Sull'allenatore dell'epoca, Carlo Ancelotti:Carlo è un allenatore top, soprattutto nella gestione. Se oggi il Real Madrid è vincente è anche per la sua maniera di condurre il gruppo. Di lui non dimenticherò mai l’umanità e l’empatia.

Piccolo aneddoto sul festeggiamento di Ancelotti con i ragazzi della squadra: (Ride) È verissimo. Eravamo in un ristorante a festeggiare il primo titolo di Ligue 1 della nuova proprietà, e  alle due di notte il Pocho Lavezzi lo chiamò davanti a tutti noi. Carlo dormiva, ma rispose comunque, pensando che si trattasse di qualcosa di grave, e dopo neanche venti minuti si presentò al ristorante per venire a festeggiare con noi. Fu qualcosa di incredibile per un allenatore che aveva già vinto tanto. Ci raccontò tanti aneddoti e tante storie del suo passato, dando l’ennesima prova della sua dolcezza. Carlo si fa amare tanto dai suoi giocatori, e con lui al Psg eravamo una vera famiglia.

Il ritorno in Italia: Appena seppi della possibilità di far ritorno in Italia ero contentissimo. La Roma è tra le più grandi squadre d’Italia, e c’era tanta voglia di far bene. Parlando personalmente, il primo anno non riuscii a trovare l’equilibrio con l’allenatore del momento (Eusebio Di Francesco ndr), che mi faceva giocare più in mezzo al campo come interno e obbligandomi a difendere troppo. Poi arrivò Paulo Fonseca e tutto cambiò in meglio per me dal punto di vista tattico, anche se poi mi fermò l’infortunio all’anca, che mi tenne fermo per un anno e mezzo. Il tutto in una squadra che aveva riposto tante aspettative su di me, un peccato.

Il famoso gol all'Atalanta:Anche quella fu una di quelle giocate che eseguii in modo naturale, senza sforzo. Così come fu una di quelle che poi rividi in video e mi resi conto di quanto la gente fosse estasiata allo stadio per quanto avevo fatto.

Sull'ex compagno di squadra, Daniele De Rossi, ora diventato allenatore:Ero sicuro che sarebbe diventato un allenatore, perché con me già lo era in campo. È una persona che vive di calcio e vuole conoscerne tanti aspetti. E sapevo anche che sarebbe andato a giocare in Argentina per tutte le domande che mi faceva sul nostro calcio, conosceva tutte le squadre e tutti i giocatori del campionato argentino, era incredibile. Sono sicuro che nel futuro gli andrà molto bene, perché è una persona che sa tanto di calcio e sa coniugare i concetti antichi e moderni di questo sport. Ed è una persona che sa gestire il gruppo, mi hanno parlato tutti molto bene di lui.

Il giocatore più forte con cui ha mai giocato:Con Ibrahimovic mi trovavo a occhi chiusi. In generale, a parte Messi, con il quale ho giocato in nazionale, ti direi che è stato lui il più forte. Poi come centravanti puro per me Cavani era unico. Fin da Palermo ho sviluppato un’intesa enorme con lui, sia dentro sia fuori dal campo, dove lui preparava il mate e anche l'asado a noi più giovani (ride). In campo sapevo dove fosse scattato anche prima di guardarlo. Dopo Messi credo che Neymar sia stato il più geniale, vedeva cose che gli altri non vedevano, aveva una creatività unica. E poi Ilicic. Con lui a Palermo ci siamo divertiti tanto. Ma proprio tanto!".LEGGI ANCHE: Calciomercato Milan - Santiago Gimenez a gennaio? Clausola e dettagli