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Frosinone, Di Francesco: “Volevo lasciare, ho avuto troppe delusioni”

Eusebio Di Francesco Frosinone
Eusebio Di Francesco, allenatore del Frosinone, ha rilasciato alcune dichiarazioni soffermandosi soprattutto sul suo passato
Fabio Barera Redattore 

Eusebio Di Francesco, allenatore del Frosinone che domani affronterà il Milan, ha scritto una lettera per 'Cronache di Spogliatoio'. Tema centrale il suo passato e i pensieri avuti nei momenti difficili. Ecco, dunque, le sue parole.

Frosinone, Di Francesco: "Mi sono sentito prigioniero come uomo"

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“A volte mi colpevolizzo più di quanto dovrei. I miei errori li ho pagati tutti. Più di così, credo non fosse possibile. Mi hanno dato del finito, del bollito. Gli ultimi 5 anni sono stati schifosi. Ho avuto troppe delusioni. E anche io ho deluso. Ci sono tante componenti che fanno la fortuna e la bravura di un allenatore: io non sono stato né bravo, né fortunato. Sicuramente, non nelle scelte: sono andato nei posti giusti ma nel momento sbagliato. Roma-Barcellona è stata la notte più bella, ma l’inizio della mia discesa”.


“Sono stato alla Sampdoria e dopo 2 partite, volevo dimettermi. Sono durato fino alla settima giornata per rispetto del mio staff, ma poi non ce l’ho fatta più: mi sentivo prigioniero come uomo. A Cagliari avevo iniziato bene, era arrivato anche il rinnovo, ma poi qualcosa si è rotto. Abbiamo deciso di rescindere. A Verona è stata l’esperienza peggiore, finita dopo 3 giornate. E poi, per due anni, sono rimasto a casa. Senza una squadra, senza poter allenare. Lontano. L’ultima volta in cui era successo, era stato quando avevo smesso di giocare. Ero diventato per qualche mese il team manager della Roma, con cui avevo vinto lo Scudetto da calciatore. Ma avevo capito che non era la mia strada”.

Di Francesco: "Delle critiche della massa non mi interessa niente"

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“Tutti hanno aperto la bocca. A me piace soltanto ascoltare le critiche delle persone che stimo. Del resto, della massa, non me ne frega niente. Ho pensato di tutto, anche di lasciare il calcio. Anche perché il mestiere dell’allenatore non mi è arrivato innato, qualche anno fa. È stata una scelta frutto del percorso. Ho fatto il team manager, ma non era il mio. Ho fatto il consulente di mercato, ma neanche quella era la strada che volevo percorrere".

"Ho fatto il responsabile di un settore giovanile, e quello è il lavoro di cui sono rimasto innamorato: entravo alle 8 in ufficio e uscivo alle 22, ogni giorno ci mettevo passione e piacere. Ancora oggi, quell’aspetto mi attrae e credo sia alla base di ogni società. E alla fine, mi sono avvicinato nuovamente al campo, l’ultima cosa che avrei creduto potesse accadere in vita mia, iniziando ad allenare”. LEGGI ANCHE: La bomba di Forbes: "Il Milan saluterà un top player in estate se..."  >>>

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