Su Silvio Berlusconi
—"È stata una persona di grandissima influenza, un Presidente sopra qualunque altro. Personalmente ho cominciato a lavorare in televisione nel 1988, ho conosciuto prima il Berlusconi imprenditore televisivo. Una volta passato anche al Milan ero molto intermediato da Adriano Galliani, incontravo Berlusconi solo in momenti ufficiali. Aneddoti? Sono molto personali, non divulgabili in questo modo. Tutto quello che si è detto su di lui è vero, personalità, conoscenza e voglia di incidere. Ricordo un episodio con Carlo Ancelotti: il Presidente riteneva che sbagliassimo tutto sui calci d'angolo, voleva che la squadra partisse da fuori area per confondere i difensori avversari. Al momento del calcio, tutti dentro in area, così alla peggio avremmo potuto guadagnare un rigore: credo che Carlo abbia cercato di non provare mai questo schema, e di fronte a Silvio disse: "abbiamo provato in allenamento, ma non funziona". C'era anche il tema di Kakà punta o non punta, il Dottore lo vedeva piazzato da trequartista. Le storie famose su di lui sono tante, alcune romanzate, l'unica cosa certa era la grande passione per il Milan. Calcio e politica mischiati? L'intreccio per me è cominciato da subito, il giorno della finale ad Atene del 1994 era lo stesso in cui il governo Berlusconi riceveva la fiducia in Parlamento. La discesa in campo l'ho vissuta fino in fondo, piano piano è cambiato il modo di gestire la relazione col Dottore. Aveva tanti impegni istituzionali, ricordo quando venne a vedere un Borussia Dortmund-Milan e restò la notte in Germania con Gerhard Schröder, mentre noi volammo in Qatar per un'amichevole. Era diverso. Ci sono stati anche dei momenti in cui si diceva che qualche risultato sportivo potesse essere stato dettato da qualche opposizione politica che si materializzava attraverso la simpatia di dirigenti o arbitri, ma francamente la cosa più bella in assoluto era che in tutto il mondo Milan era diventato sinonimo di eccellenza, italianità e successo".
Sui migliori giocatori e allenatori del "suo" Milan
—"Marco Van Basten è in assoluto il giocatore più amato, quello che indubbiamente mi ha lasciato più disperazione per aver interrotto una carriera che sembrava inarrestabile. Io Marco l'ho conosciuto alla fine della sua avventura al Milan: sono arrivato nel 1993, quando è iniziato il suo calvario. L'ho avuto in squadra nel '93 e nel '94, poi l'ho visto nel momento del ritiro, in quella terribile passeggiata durante il Trofeo Berlusconi. Lo sento ancora oggi, mi piace definirlo amico. Ronaldo il Fenomeno l'ho vissuto da avversario, sia all'Inter sia al Real Madrid. Quando venne al Milan ho letto che Capello definì la trattativa: "una cosa buona per il Real Madrid, ma non per il Milan". Ancelotti, invece, ricordo che in quel periodo diceva: "Da quando è arrivato lui, fare la formazione è facilissimo: Ronaldo e poi altri 10". Il Fenomeno non si preoccupava delle altre squadre, era straordinario. Ricordo un giorno, giocavamo contro il Siena e Galliani gli chiese: "Domani giochiamo a Siena, tu sai chi sono i loro difensori, vero?", lui rispose, riflettendoci: "No, ma loro sanno chi sono io" e il giorno dopo fece due gol. Un personaggio straordinario. Ronaldinho ha fatto tantissimo al Milan, è stato un giocatore straordinario con grande allegria e gioia, un inarrivabile pallone d'oro che ha avuto una vita abbastanza intensa. Un giorno arrivò a Milanello per un allenamento pomeridiano e si addormentò in una vasca del ghiaccio, talmente era stanco da una festa fatta di divertimenti in casa sua".
Gandini su Maldini
—"Paolo Maldini è straordinario, rappresenta il Milan. Io sono arrivato al Milan con Franco Baresi capitano, c'erano Costacurta, Tassotti, Donadoni, Massaro, uno zoccolo duro di italiani. Quello che poi Paolo ha rappresentato anche per la storia della sua famiglia, la sua maglia ritirata... è stato tantissimo. Abbiamo vissuto molte partite insieme, ero con lui il giorno della sua uscita dal mondo del calcio a San Siro, purtroppo non bella da ricordare per i fischi di una parte della Curva Sud. Tante cose rimangono nella memoria per un motivo che non merita, ci sono tante motivazioni. Paolo è rimasto fuori, ha cercato di costruire una sua professionalità. Com'è possibile che sia andato via dal Milan? Non ho più vissuto dall'interno certe dinamiche, c'è stato un periodo in cui Paolo aveva avuto delle opportunità per tornare e aveva giudicato non fossero per lui idonee. Alla fine, decidono le proprietà: si può discutere sul metodo e sul modo, alquanto diretto, ma le dinamiche dietro un rapporto professionale sono difficili da giudicare".
Gandini sugli allenatori al Milan
—"Carlo Ancelotti è l'allenatore con cui ho lavorato meglio, ho un'amicizia con lui anche per una questione di età. Al Milan è stato un tripudio, prendere lui è stato un po' come ridare il Milan ai milanisti dopo Fatih Terim, persona eccezionale che però non aveva funzionato per una serie di motivi nella casa rossonera. Carlo rappresentò la soluzione di tutti i problemi: la storia gli ha dato ragione. Le coppe, tre finali in cinque anni: uno dei più grandi allenatori al mondo. Con Fabio Capello ho lavorato parecchio prima di andare al Milan, quando lui era responsabile della polisportiva Mediolanum che Berlusconi aveva voluto per il Milan. Io arrivavo con un'esperienza da giocatore e dirigente di hockey sul ghiaccio, ho lavorato con lui da manager aiutandolo a prendere allenatori e giocatori di hockey. Nel gennaio '93 ho trovato Fabio da allenatore del Milan e lì è cominciata una relazione che dura ancora oggi".
La top 11 del Milan di Gandini
—"Ho fatto dei sacrifici, ma la formazione sarebbe questa: Dida; Cafu, Baresi, Costacurta, Maldini; Seedorf, Pirlo, Gattuso; Kakà; Shevchenko, Inzaghi. Potrei metterne tanti altri, come Crespo, Ibrahimović, Van Basten, Boban, Donadoni, Albertini, Nesta... La formazione che mi piacque di più in assoluto rimane però quella della finale persa a Istanbul nel 2005, che per me è stata la più forte. Chi mi ha divertito di più? Kakà, per quello che ha rappresentato, per quello che ha fatto e per come è cresciuto, anche per come poi è arrivato al pallone d'oro. Ricky è stato quello che mi ha colpito di più in assoluto, in campo e per la sua storia. Io sapevo della sua esistenza nel San Paolo da un caro amico che ci faceva da consulente, aveva una visione molto forte sul calcio brasiliano e dava a Braida delle informazioni. Leonardo lasciò il Milan per andare a giocare nel San Paolo, gli chiesi di tenere d'occhio Kakà, per capire se potesse essere da Milan. Si rivelò essere da Milan, fu un'operazione straordinaria fatta da Braida, che continuo a pensare sia tuttora uno dei più grandi scopritori di talenti". LEGGI ANCHE: Serie A, la classifica degli errori arbitrali. L'Inter è in testa, mentre il Milan...
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