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Baresi: “Il Milan ha dato un senso alla mia vita. Paolo Maldini un campione”

Fabio Barera Redattore 
Franco Baresi, vice presidente onorario del Milan, ha rilasciato una lunga intervista sulla sua esperienza in rossonero e non solo

Franco Baresi, ex difensore e attualmente vice presidente onorario del Milan, ha rilasciato una lunga ed interessante intervista ai microfoni del quotidiano 'Avvenire', in occasione dell'uscita del suo libro 'Il viaggio interiore del capitano'. Ecco, dunque, tutte le sue parole.

Baresi: "Il Milan ha sviluppato come pochi altri una serie di progetti solidali"

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Con la Fondazione Milan, questa mission di andare incontro e in soccorso degli altri l’ha potuta realizzare.

"Il Milan è una società che come poche al mondo ha sviluppato da tanto una serie importante di progetti solidali. Nei molti viaggi fatti con Fondazione Milan ho toccato con mano la povertà. Ricordo la miseria delle baraccopoli in Kenya e in Marocco, le ferite e gli orrori della guerra in Libano, dove abbiamo creato dei campi di calcio e spazi di aggregazione per i ragazzi che vivono lì e devono far fronte a queste piaghe. Il calcio ha il potere di alleviare le sofferenze e far tornare a sorridere quei bambini che spesso sono delle vittime nei loro Paesi. Ogni volta che torno a casa dopo essere stato in quei luoghi mi rendo conto della fortuna che ho avuto e ringrazio sempre Dio per tutto questo".

Messaggi umanitari che nella sua breve esperienza di allenatore delle giovanili del Milan avrà trasmesso ai suoi ragazzi.

"Da allenatore ho capito l’importanza di curare l’aspetto umano dei ragazzi, far loro sentire addosso la fiducia e comprendere sempre i loro disagi generazionali. Con Antonello Bolis, un prof dell’Università Cattolica prestato al calcio, quando cominciai mi è stato di grande aiuto proprio nell’approccio psicologico da tenere con i giovani con i quali devi sempre rapportarti sapendo che prima viene la persona e poi il calciatore. E quando questi ragazzi li fai stare bene all’interno del gruppo di sicuro renderanno meglio anche in campo, perché vuol dire che sei stato capace di trasmettere i giusti valori. E questo va molto al di là del gioco".


"Ruolo del libero? Io ho giocato d'anticipo"

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Un gioco naturale, quello del libero, che gli è riuscito facile per quasi un quarto di secolo vincendo tutto con il Milan: nei 15 anni da capitano ha conquistato 6 scudetti 3 Coppe dei Campioni e 2 Coppe intercontinentali. Un uomo libero e un libero di ruolo unico e irripetibile.

"Ho solo interpretato alla mia maniera, forse solo in un modo un po’ diverso e magari meglio di altri, il ruolo di libero. Ruolo che una volta spettava ai più anziani della squadra, quelli ormai a fine carriera. Invece io ho giocato d’anticipo anche in questo, ho cominciato a fare il libero a 18 anni e non ho più smesso fino al giorno del mio addio al calcio giocato, a 37 anni".

Una storia da piccolo eroe esemplare, quella ormai rarissima da una vita una maglia.

"Ogni tanto rifletto sul fatto che, finora, dei 125 anni di storia rossonera io ne abbia vissuti ben cinquanta. Il Milan ha dato un senso, quello più profondo, alla mia vita di questo sarò per sempre riconoscente".

Queste, come canterebbe Paolo Conte sono «parole d’amore scritte a macchina». Sentimento reciproco, perché come suggerisce il collega e “milanologo” Massimo M. Veronese, «Baresi, forse, in carriera ha sbagliato tre partite, ma su 700 disputate con il Milan». Un percorso netto, epico, cominciato all’oratorio.

"Quelle partitelle infinite all’oratorio di Travagliato, il mio paese, sono state una scuola di vita. Lì in quel campetto vicino alla chiesa ho cominciato a sentirmi libero, e non parlo del ruolo, ma della possibilità di esprimere quel talento che dall’età di 14 anni andando a Linate e poi a Milanello ho messo al servizio del Milan dove ho avuto la fortuna di incontrare persone, uomini veri, dai dirigenti agli allenatori, che mi hanno aiutato a crescere e a diventare ciò che sono oggi".

Milan, Baresi: "Fantastico affrontare da avversario mio fratello nei derby"

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In quell’oratorio giocava con suo fratello Beppe, anche lui diventato uno storico capitano dell’Inter.

"Quella mia e di Beppe, è una storia quasi unica e infatti nel libro scrivo che ancora oggi talvolta mi soffermo a ripensare come siamo riusciti a trasformare le avversità in insegnamenti. Abbiamo perso i genitori presto ma non abbiamo mai smesso di credere nel nostro sogno. Dopo quelle partite all’oratorio ci siamo ritrovati a giocare insieme qualche partita nell’Under 21. Ricordo la prima da azzurrini a Tunisi, nel ’78, c’era una pioggia e un vento che quelli del posto dissero non si vedeva da vent’anni. È stato bello – sorride - quando hai un fratello in squadra ti senti più tranquillo. Poi è stato fantastico anche da avversari: nei derby Milan-Inter chi vinceva sfotteva l’altro. Una battuta, una sghignazzata delle nostre e poi dritti negli spogliatoi, fratelli come e più di prima".

Cinquant’anni fa esatti lei entrava nel Milan. C’è un video su Youtube in cui giovanissimo racconta dei “sacrifici” di chi vive e si allena a Milanello.

"I sacrifici li ho fatti ma era necessario e sono serviti e questo è il messaggio che lancio sempre ai giovani che cominciano adesso. Allenarsi per chi sogna di diventare un calciatore professionista è come fare bene i compiti a casa e crescendo di categoria vuol dire studiare sodo per poi presentarsi preparato agli esami di maturità. Se sei preparato e la fortuna ti assiste può accadere come a me di debuttare in Serie A 17 anni e poi ritrovarsi capitano del Milan a 22 e campione del mondo con la Nazionale dell’82… Senza sacrifici, tutto questo non sarebbe stato possibile".

"Maldini si vedeva che era un campione. Troppo forte il mio legame con il Milan"

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«Vai e gioca come sai», le disse Nils Liedholm quel 23 aprile 1978, quando fece il suo debutto a Verona. Il “Barone” qualche anno dopo disse più o meno la stessa frase a Paolo Maldini, il giorno del debutto dell’altra bandiera milanista.

"Liedholm era bravissimo nel motivare e nel non mettere mai pressione ai giocatori, specie ai più giovani. Il giorno in cui Paolo Maldini debuttò a Udine, nell’85, me lo ricordo bene. Mi ci sono rivisto nel suo esordio, si vedeva che la stoffa del campione c’era, ma per Paolo forse è stato un po’ più difficile che per me, c’era quel cognome che pesava e il confronto con suo padre Cesare bandiera a sua volta del Milan. Ma poi si è visto che tutto questo l’ha superato alla grande e vedo che anche suo figlio Daniel non è da meno".

Baresi però, rispetto a Maldini, non si è mai allontanato un solo giorno dal Milan, come ha fatto a resistere così a lungo?

"Ho capito che uscendo dal campo avrei studiato altre materie e in tutti questi anni è come se avessi fatto l’università. Ho scoperto che oltre al campo c’è un’altra vita, e per quella da allenatore e poi di responsabile tecnico fino alla dirigenza e ora la vicepresidenza onoraria, ho imparato come dice il titolo del mio libro a rimettermi “ancora in gioco”. Il legame con il Milan è troppo forte ed essere qui significa sapersi adattare continuamente ai diversi ruoli che ti vengono richiesti. Vuol dire avere l’umiltà e il buon senso di fare un passo indietro quando serve, perché anche questo fa parte di quella passione che mi ha portato a coronare il mio sogno".

Milan, Baresi: "Baggio e Rivera i 10 italiani più forti con cui ho giocato"

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Le sue lacrime di Pasadena e quelle di Roby Baggio sono un pezzo unico di calcio e poesia.

"È stato doloroso, ma abbiamo pianto tutti quel giorno. Noi per aver perso, forse meritatamente, e i brasiliani erano in lacrime e ringraziavano la stella di Ayrton Senna che da Lassù li aveva aiutati. Roberto Baggio con Gianni Rivera è stato il più forte numero 10 italiano con cui ho giocato. Roby è stato un altro esempio straordinario di “sacrificio”, ha sempre giocato a livelli altissimi pur con tutti i dolori e le tante operazioni subite alle ginocchia".