GerryCardinale, managing partner di RedBirdCapital e proprietario dell’AC Milan, nei giorni scorsi ha partecipato al panel “Sloan Sports Analytics Conference” al MIT. Ecco le sue parole tradotte da MilanNews.it.
INTERVISTE
Milan, Cardinale: “Brand tra i più grandi del calcio europeo”
Gerry, qual è stato il percorso che ti ha portato ad essere proprietario di tre squadre?
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“Proprio come Steve (Pagliuca, ndr) ero alto solo 1metro e 80 e nel canottaggio non è abbastanza (ride, ndr). Quello che impari col canottaggio è che è più una questione mentale che fisica. Questo mi ha instradato verso il mondo della finanza e di Wall Street. Dopo Harvard sono andato ad Oxford e ho partecipato alla gara di canottaggio, e ho scoperto l’amore per questo tipo di competitività. La grande cosa a proposito del canottaggio è che è davvero l’emblema dello sport di squadra e dello sport amatoriale. Passi tutto il tuo tempo ad allenarti per una gara di sei minuti, nel caso della “boat race” 20 minuti, e se non stai remando sotto la pioggia o con un tempo terribile è come se non lo stessi facendo per davvero (ride, ndr). Fare sport di squadra è un ottimo modo per abituarti al mondo del lavoro, lo sottoscrivo”.
Per quanto riguarda la vendita e il valore di squadre sportive, siamo in una bolla?
“Siamo decisamente in una bolla, ma non è di certo qualcosa di nuovo. Penso che siamo in una bolla da un po’ di tempo. Già qualche anno fa dopo alcune vendite di club (di football americano, ndr) pensavo che il valore non potesse crescere rispetto alla cifra di acquisto, ma invece guarda dove siamo ora. Da una parte dico che siamo in una bolla già da un po’, dall’altra parte è un fenomeno (il valore dei vari club, ndr) che continua a crescere. La domanda da farsi è “perché è così?”. Non mi fa impazzire questa cosa, è un'idea facile che sto iniziando a sentire e che riguarda sempre il concetto di sport come “asset class” e direi, almeno dal mio punto di vista, che nel momento in cui si inizia a parlare di sport come “asset class” tutti devono fermarsi un attimo e dire: "Aspettate, cosa sta succedendo?". Il motivo è che sento queste facilonerie sul fatto che non è correlato al mercato, le valutazioni continuano a salire e quando si guarda al rigore analitico intorno a queste cose la ricerca azionaria nello sport si basa sulla rivista Forbes (per dire che non c’è una ricerca approfondita ma superficiale, ndr). È come se si guardasse all'ultima operazione e ci si mettesse sopra un margine di profitto. Queste cose potevano funzionare 20 o 25 anni fa. Oggi si tratta di asset multimiliardari per l'intrattenimento di eventi dal vivo e credo che debba esserci un po' più di rigore nel concetto con cui questi asset vengono comprati a un multiplo del fatturato annuale. Penso che anche questo sia un po' preoccupante, questi asset dovrebbero essere comprati a un multiplo del flusso di cassa annuale e questo è l'investimento che cerco di fare quando guardiamo a queste cose, che è quello di sapere se si può lavorare per ottenere profitto su un pagamento eccessivo e deve essere guidato dal flusso di cassa”.
Ci parli del tuo percorso nel calcio europeo? Tolosa nel 2020, Fenway Group (che ha quote nel Liverpool, ndr) nel 2021 e ora AC Milan nel 2022? Hai una visione che comprende un progetto comune per tutti e tre i club o guardi ad ognuno di loro individualmente?
“La mia “euforia” riguardante il calcio europeo è relativamente recente. Per anni non sono stato interessato. Il mio modello di business, parlando di sport, è sempre stato sugli affari intorno allo sport, creando partnership con i vari detentori di diritti e creando imprese con valore terminale intorno a questi diritti. È iniziato con gli Yankees, poi con i Dallas Cowboys, poi con l’NFL. Cinque o sei anni fa ci siamo chiesti: “Perché non pensiamo di integrarci verticalmente e di diventare noi stessi detentori di diritti?”. Farlo negli Stati Uniti è difficile a causa delle restrizioni per i fondi d’investimento a capitale istituzionale, mentre in Europa non ci sono. In Europa però c’è il calciomercato e la possibilità di retrocedere. Quando vedi che c’è un ecosistema che attrae Stati sovrani ed oligarchi devi chiederti cosa stai facendo. Devo dare credito a Billy Beane, è stato quello che mi ha “educato”. È stato nel calcio europeo per 20 anni e mi ha detto che non stavo guardando alla situazione nel modo giusto. Dovevo approcciarmi al calcio europeo con la mentalità da “Moneyball”, che dice che non c’è bisogno di sacrificare il livello delle performance sul campo per il flusso di cassa o viceversa. Abbiamo passato 5 anni studiando e imparando. Pensavamo di sapere tante cose riguardo lo sport, ma arrivati qui (in Europa, ndr) abbiamo avuto la sensazione di dover fare davvero una full immersion. Ci siamo incontrati con 200 squadre circa in tutti i paesi, abbiamo fatto il nostro primo investimento con il Tolosa, guidato principalmente dai dati. È stato davvero un gran esperimento, il prezzo di partenza era sui 60 milioni di euro, la squadra è retrocessa e l’abbiamo comprata per 15. Il primo anno abbiamo venduto il primo giocatore per 15 milioni e ora siamo in Ligue 1, a metà classifica. È stato un bell’esperimento, abbiamo imparato molto. Fenway è stato qualcosa di simile, un passaggio verso un club più grande, e alla fine siamo arrivati all’AC Milan. Credo che l’AC Milan sia uno dei brand più grandi del calcio europeo. Berlusconi è stato il primo oligarca, è stato il George Steinbrenner dei suoi tempi. Una delle cose che mi sorprende è che il Milan è il secondo club per Champions League vinte dopo il Real Madrid, non ne ero a conoscenza. È un asset non sfruttato abbastanza per quello che potrebbe essere il suo valore e livello, come la Serie A. Il campionato italiano ha il diritto di sedersi al tavolo dei migliori, così come il Milan ha un posto a questo tavolo. Il nostro lavoro è portarlo lì. I vantaggi per chi come me e Steve (Pagliuca, ndr) che si sono fatti le ossa in questo campo, è di poter portare la nostra mentalità e i nostri metodi in Europa ed essere molto d’aiuto. E c’è bisogno di farlo, perché qui ti stai muovendo in un qualcosa che un po’ somiglia al wild west, non ci sono regolamentazioni sulle proprietà: chiunque può comprare questi asset. E così vedi un allontanamento dell’Inghilterra dal continente, l'aziendalizzazione in Inghilterra rispetto al continente, gli unici due proprietari istituzionali nel continente credo siano RedBird e il Qatar nel PSG”.
Cosa può portare tutta questa influenza americana alla Serie A?
“So che possiamo controllare ciò che possiamo controllare, quindi sicuramente gestiremo il tutto con un'enorme disciplina finanziaria. Credo molto nel punto di vista di Billy (Beane, ndr), che non dobbiamo sacrificare le prestazioni per il flusso di cassa. Ci sono prestazioni sul campo e prestazioni fuori dal campo e noi possiamo portare molto alla Serie A. Io e Steve (Pagluca, ndr) siamo sia competitors che partner in Serie A. La Premier League è diversa. C’è anche una dinamica interessante, il continente che si contrappone all’Inghilterra: possiamo trarre vantaggio da questo tipo di situazione. Tra i ricavi da media di Premier League e Serie A c’è un rapporto di 3 a 1, tra La Liga e Serie A il rapporto è 2 a 1. Non ci dovrebbe essere questa disparità, dobbiamo affrontare la questione perché questo è il motivo che porta poi tutti i giocatori e tutti i soldi verso l’Inghilterra”.
Il modello di investimento:
“Non trattiamo i nostri investimenti sulle squadre in modo diverso da come trattiamo il lato business. Non faremmo un investimento in cui siamo passivi, in cui non abbiamo controllo. Andando a fare questi investimenti abbiamo ovviamente un business plan su come generare “cash flow” e ci basiamo su questo, così come lo facciamo per tutte le altre nostre compagnie”.
Come differenzi la tua strategia tra investimenti nelle squadre e investimenti fuori?
“Gli investimenti che non riguardano direttamente le squadre sono il nostro pane quotidiano, il modello non è cambiato fin da quando abbiamo creato “Yes Network” nel 2001. Oggi c’è sempre più convergenza tra sport e media, oltre ad un terzo punto: la cultura. In America la cultura è “urban”, in Europa è “fashion”. Alla fine si tratta di monetizzare proprietà intellettuali, con un mercato che è diventato sempre più frammentato e basato sull’individuo: vedi le nostre partnership con The Rock e XFL, LeBron James con Fenway e Spring Hill, la sua media company. I nostri investimenti che non riguardano direttamente le squadre riguardano diversi media”.
Gerry, come hai sfruttato dati e analisi per riportare il Tolosa in Ligue 1 dalla Serie B francese?
“Al giorno d’oggi tutti usano dati. Noi abbiamo una compagnia di data analytics che si chiama “Zelus”. Tutti riceviamo lo stesso tipo di dati, la differenza la fa come li usi. Al Tolosa abbiamo giocatori che arrivano da 18 paesi diversi, e la squadra è stata costruita solo basandosi sull’analisi dei dati, senza scouting. Era un esperimento, e dopo un anno siamo stati promossi in Ligue 1. Ora siamo a metà classifica, stiamo giocando ad un livello che è due volte e mezzo rispetto a quanto abbiamo investito sul mercato. Penso che i dati giochino un ruolo davvero importante, ma in particolare nelle squadre più grandi c’è bisogno di un “modello ibrido” tra uomo e dati”.
Sulla Super League:
“Il fenomeno Super League è stato un fallimento. Ci si deve chiedere comunque perché è successo, ed è lo stesso fenomeno che abbiamo avuto negli Stati Uniti in certi campionati. Nel baseball c’è una tensione tra piccolo e grande mercato, così come in MLS. C’è la stessa cosa in Europa, la tensione è fra Premier League ed il resto del continente. Nello sport non puoi comprare i campionati. Mi piacerebbe ovviamente vincere lo scudetto e la Champions League ogni anno, ma se lo facessimo sarebbe contrario a quello che è il nostro lavoro. Il nostro compito è quello di ottenere un ritorno da questo investimento e se ogni anno vincessero sempre gli stessi non funzionerebbe, giusto? Renderebbe la valutazione del tutto diluitiva. Quello che possiamo controllare è ridurre l’incostanza delle prestazioni. La cosa che trovo fenomenale è che un sacco di persone si avvicinano allo sport e pensano che l’obiettivo sia vincere campionati. Ovviamente tutti vogliamo vincere, ma se la guardi attraverso la lente puramente non emozionale di un investitore l’obiettivo è quello di essere performanti in modo costante. La Super League è una distrazione, dobbiamo concentrarci non solo sull’essere competitivi in Serie A, ma anche su come aiutare la Serie A ad essere competitiva rispetto la Premier League e La Liga. Dobbiamo pensare a come aiutare la Serie A e ottenere il miglior tipo di accordo per la vendita dei diritti televisivi sia nel paese che all’estero per ridurre il gap. E se ci riusciamo allora facciamo del bene a tutto l’ecosistema FIFA, con il continente che riesce ad essere più competitivo nei confronti dell’Inghilterra”. Milan, derby di mercato per un bomber di razza >>>
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