Sulritiro: «Chiudere con una vittoria è stato il regalo migliore. A dire la verità avevo momenti in cui ero agitata, volevo chiudere in bellezza. Ero dispiaciuta, ma una cosa è sicura: da quando sono entrata in campo volevo solo giocare. Mi sono divertita e basta, e questo è il segreto. Quando entravo in campo c’era solo la palla e le compagne».
Sulla vicinanza delle compagne: «L’ho sentita tantissimo. Me l’aspettavo e no: non ho un carattere facilissimo, ma nel calcio ho dato il meglio di me, cercando di coinvolgere tutte le compagne e essere di aiuto nel bene e nel male. Speravo ci fosse quest’affetto, ma la realtà è che ce n’è stato moltissimo di più. È stato veramente bello. La premiazione è stata bellissima: il presidente Scaroni è venuto a darmi questo premio ed è stato importantissimo. Doveva essere un giorno triste, ma se devo ricordarlo dico che è stata una festa, ed è questo che volevo. Da quando lo hanno saputo, ho capito che qualcosina di buono avevo fatto. Oltre le aspettative, sì. Se dovessi chiedere a qualcuno al di fuori del calcio sicuramente qualche complimento me lo fa, ma sono difficile. Io ho sempre cercato di dare il meglio di me».
Sul Milan: «Mi ricordo la prima frase che ho sentito quando sono venuta qui a Casa Milan. Ho sentito: ‘Qui al Milan siamo come una famiglia’. Quella frase mi ha fatto capire che era la squadra giusta, quella per cui avrei lottato. Sono passati sei anni e ci ho sempre creduto in quella frase. Il Milan è una seconda famiglia. La cosa che mi avrebbe portato dispiacere è non rimanere al Milan, perché non riesco a vedermi in una squadra che non fosse rossonero. Confermo la frase che ho sentito la prima volta».
Sul suo momento preferito: «Ce ne sono tanti. Può essere la finale di Coppa Italia, anche se purtroppo l’abbiamo persa ai rigori. Uno dei momenti più belli è la qualificazione in Champions, la partita contro il Sassuolo. I derby, il primo derby che abbiamo vinto, in casa dell’Inter tra l’altro. Per un milanista i derby vinti sono la cosa più bella. Lo è anche per me».
Sul numero 6: «Ho sempre avuto questo numero sin da piccola. Quando sono arrivata al Milan e mi è stato chiesto quale numero volessi, risposi il 6. Mi chiesi se fosse la cosa giusta da fare, sapendo che la 6 è di Baresi ed è una maglia ritirata. Se la prima partita faccio pena, sono rovinata. Mi sono detta che è un motivo per migliorarsi e onorare ancora di più la maglia che indosso. Franco Baresi mi ha permesso che questa cosa potesse succedere. È stato bellissimo indossare questa maglia, ma sapevo di dover tenere un certo comportamento in campo e fuori, perché Baresi è stato un grande capitano del Milan ed è un grande uomo. Come ci dicono sempre, indossi la maglia del Milan in campo e fuori. Ho portato la maglia con rispetto, cercando di onorarla ogni minuto in cui ho giocato. Baresi rimarrà, ma rimane il fatto che nessuno si è lamentato. Sono onoratissima di aver avuto questo privilegio».
Sull'ereditàraccolta: «Un momento bellissimo, ho avuto la fortuna di conoscere Nadine anche sul campo perché si è allenata spesso con noi. Non c’era giocatrice migliore, in qualche modo mi è vicina: è grintosa, coraggiosa, dà sempre il massimo e si è visto anche nelle partite della Final Four, dove poi hanno vinto il campionato. Auguro a lei di levarsi tante soddisfazioni. Se lo merita e lo dovrà dimostrare, ma ce la farà benissimo».
Sul nuovoruolo: «Un ruolo molto bello, sarà difficile perché è un qualcosa di nuovo. Spero di trasmettere ciò che il calcio è stato per me alle giovani della Primavera, hanno già dimostrato di lottare e togliersi soddisfazioni. Voglio iniziare questo percorso e crescere insieme a loro. È da qualche anno che faccio dei corsi di team manager, ora sto facendo quello di direttore sportivo. Non speravo di ricevere questa opportunità dal Milan, che non smetterò mai di ringraziare. Riuscire a rimanere nel calcio e nel Milan, penso che sia la cosa migliore che potesse mai capitarmi».
Su ciò a cui èaffascinata: «Bisogna imparare a fare qualcosa che non ti viene in automatico. La cosa che mi affascina è poter aiutare le ragazze in quello che io ho già vissuto. Il ruolo del team manager è da collante tra quello che sono le giocatrici e la società. La mia esperienza dello spogliatoio e da calciatrice mi aiuta a dare chiavi di lettura più facili per fare meglio il lavoro».
Suivalori: «Sono vicine al professionismo ma devono crescere ancora tanto. Hanno delle difficoltà magari a cui non ci si pensa. Bisogna tirare fuori i problemi senza vergogna. Ho sempre giocato sapendo che comunque non era il mio lavoro, ma facendolo come se lo fosse. Mettendo il sacrificio e la determinazione: senza passione il lavoro non viene bene. Per quanto possano essere vicine al professionismo, bisogna giocare a calcio per divertirsi».
Sullesensazioni: «Non lo so. In questi giorni vado a momenti: da una parte sono elettrizzata per il momento nuovo e non vedo l’ora di iniziarlo, dall’altra mi dico che ho sempre giocato a calcio. Senza pallone non so come starò, ma bisogna andare avanti. Arriverà la botta secondo me. Non so quando ma arriverà. Se penso a sabato è stata una giornata così bella che passerà subito la tristezza e la malinconia: è più di vent’anni che gioco a calcio, questa decisione è stata tosta». LEGGI ANCHE: Milan, Conte un'occasione persa. Che significato ha il bilancio in attivo? >>>
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