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11 aprile 2009, Chievo-Milan: l'esultanza di Clarence Seedorf dopo il gol (credits: GETTY Images)
Clarence Seedorf ha rilasciato un'intervista ai microfoni della Gazzetta dello Sport. Seedorf ha parlato ovviamente di Milan-Inter, derby che si giocherà a partire dalle ore 15: "Il senso del derby lo decidono i tifosi in base a come lo vivono, e per loro è sempre derby. Anzi, senza poter essere allo stadio ha anche più peso. L’energia del dodicesimo uomo in campo non è un modo di dire: ora lo vivono ancora più intensamente proprio perché non possono dare questa spinta".
Due mondi capovolti proprio alla vigilia del derby: farà meglio il primato all’Inter o al Milan togliersi un po’ della pressione che aveva addosso?
«Essere primi è sempre meglio: sbagli e sei comunque lì, se sei secondo non puoi più sbagliare. Ma hanno talmente fiducia entrambe che oggi non cambia tanto: sono ancora molto vicine».
È stato esagerato considerare il Milan subito da scudetto?
«Il Milan deve sentirsi sempre da scudetto: dev’essere la normalità. Lo dicono anche gli altri campionati: nella Liga comanda l’Atletico, il Leicester sta facendo ancora quest’anno una grande stagione. Come può non essere ambizioso il Milan?».
Inter concentrata solo sul campionato: quanto conta?
«Le grandi squadre devono essere pronte a stare dentro a tutto. Può essere un vantaggio dal punto di vista fisico, gestisci meglio il recupero dei giocatori, ma non è detto: se sei abituato a giocare ogni tre giorni, mentalmente resti sempre “acceso”. Il Bayern che di solito vince il campionato a gennaio a volte non è arrivato in fondo in Champions».
E quanto peserà per il Milan l’aver giocato a Belgrado giovedì?
«Una settimana piena di preparazione può aiutare, ma le energie per un derby si trovano sempre».
Certi segnali (tre sconfitte nel 2021) e poi il crollo del Milan a La Spezia: prevedibile?
«Il Milan ha trovato dei suoi equilibri: non credo abbia da preoccuparsi. Però è importante leggere i motivi di quella sconfitta, e questo possono farlo solo loro. Giocare subito una gara come un derby è quasi meglio, se ritrovi energie anche mentali dopo Belgrado».
Milan e Inter troppo “aggrappate” a Ibra e Lukaku?
«Qualità personali e rendimento: è naturale un po’ di dipendenza mentale. Ma le squadre hanno un modo di giocare consolidato e si è visto anche senza di loro, che sono il ritocco che le rende migliori».
Questo derby è un’occasione per correggere l’immagine che hanno dato in quello di Coppa Italia?
«Spero abbiano riflettuto: sono due giganti del calcio, hanno la responsabilità di promuoverlo nel modo migliore».
Milan in affanno è uguale a Ibrahimovic troppo isolato?
«Quando una squadra va in difficoltà ci va tutta la squadra: è normale che a risentirne sia chi deve finalizzare».
Barella è già il miglior centrocampista italiano? E per Tonali le tante aspettative sono diventate troppe pressioni?
«Barella è fra quelli più in forma: per dire migliore va visto il rendimento di tutto un anno, se non di anni. Per Tonali forse le due cose hanno finito per coincidere: è molto giovane, gli serve tempo anche per trovare un proprio equilibrio».
Donnarumma è già oggi da podio mondiale?
«Ha tutto per stare tra i più forti del mondo, ma prima deve confrontarsi con loro, nelle competizioni più importanti».
Come può vincere questo derby il Milan e come l’Inter?
«Magari decide un episodio, ma i derby si vincono mantenendo l’equilibrio emozionale, con il coraggio e la personalità che servono per imporre il proprio gioco e la propria strategia. E godendosi una partita così, essendo felici di giocarla».
Allegri, parlando dei leader del suo Milan, ha detto: «Seedorf era quello che rompeva le balle e che si prendeva le responsabilità quando la squadra era in difficoltà». Non vale dire Ibra e Lukaku: chi sono i leader che fanno vincere questo derby?
«Io ho sempre dato tutto per proteggere il progetto e l’interesse del gruppo, che ho sempre messo al primo posto: confrontandomi con tutti, se necessario anche esponendomi a nome della squadra. Che Ibrahimovic e Lukaku siano leader si sa, ma non esiste una grande squadra dove ce n’è uno solo. I leader naturali sono tali non solo per la fascia che portano, ma i due capitani hanno dimostrato di avere certe caratteristiche: negli anni ho visto crescere l’uomo Romagnoli, Handanovic ha cambiato il modo di esporsi nel prendersi le sue responsabilità».
Cosa le piace del progetto societario del Milan?
«Che è tornato ambizioso, solido, con chiarezza societaria. Ma la cosa che mi piace di più è che c’è Maldini: la garanzia del Dna Milan, che non si può trasmettere se non lo conosci e non lo hai dentro. Per com’è ambizioso, Paolo non starà molto tempo a parlare di quarto posto».
Ha sempre allenato squadre prese in corsa: è un rimpianto?
«Il rimpianto in questo senso è il Milan: per contratto dovevo partire a giugno, ho accettato di arrivare prima e poi non ho potuto continuare. Le altre opportunità le ho accettate per dimostrare il mio valore: mi sono dovuto prendere dei rischi perché le chiamate erano poche, e noi sappiamo perché».
Noi chi?
«Il mondo del calcio. Ho giocato 12 anni in Italia: dopo il Milan, pur avendo fatto un ottimo lavoro, zero chiamate. L’Olanda è il mio Paese: zero chiamate. Quali sono i criteri di scelta? Perché grandi campioni non hanno chance in Europa dove hanno scritto pagine di storia del calcio? Perché Vieira deve andare a New York, Henry in Canada? Per gli allenatori non ci sono pari opportunità: se guardiamo i numeri, non ci sono persone di colore nelle posizioni di maggior potere nel calcio. Ma è un discorso generale, riguarda l’intera società: tutti, in particolare chi può cambiare le cose, devono sentire la responsabilità di creare un mondo meritocratico, di tenere aperte tutte le porte se si ambisce all’eccellenza. Perché i migliori risultati possono venire proprio dalla diversità».
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