Sulla sensazione che sia finita la sua avventura al Milan: “Nel mio percorso di questi quattro anni sono arrivato ad un buon punto. Ma potevo ovviamente anche dare di più, per aiutare ancora di più. È il momento giusto”.
Sui progetti per il post-Europeo: “Diciamo che il mio futuro l’ho diviso in tre parti. C’è una settimana (questa, ndr) per essere disponibile per la mia ultima partita a San Siro e mettere ancora la maglia del Milan. Poi c’è un’avventura con la Danimarca, è sempre molto speciale. E dopo di questo devo trovare il posto dove continuare a giocare a calcio. La cosa più importante è questa settimana”.
Su come si approccia alle nuove esperienze: “Paura zero. Penso che ho provato così tanto nella mia carriera, ho esperienza per capire che la paura non ti da niente. Ho grande curiosità e grande voglia di impattare su un nuovo gruppo così come ho fatto qui”.
Sul suo arrivo al Milan: “Sono venuto in Italia quando avevo 19 anni al Palermo. Lì ho subito detto al mio procuratore: “Voglio andare al Milan”. C’è voluto un po’ di tempo, però alla fine sono venuto qua e questa è la mia società, il mio luogo e sarà sempre così. Quando sono arrivato qua il Milan era in un periodo molto difficile che durava da tanti anni. Paolo (Maldini, ndr) e Ricky (Massara, ndr) mi hanno portato qua per dare un impatto soprattutto ai giovani, dare continuità e far crescere il gruppo. Penso che il mio lavoro l’ho fatto”.
Sul suo impatto sulla squadra rossonera: “Dipende ovviamente sempre dal gruppo, io avevo una fortuna, cioè che con me è arrivato anche Zlatan. Non ho mai avuto bisogno di urlare o dare quel tipo di stimolo. Ho potuto lavorare sui singoli, far vedere ogni giorno che si doveva arrivare presto per lavorare e che si andava a casa tardi. Prima che arrivassi qui c’erano 2-3 giocatori agli allenamenti in palestra. Ora ci sono tutti. È stato un percorso anche con lo staff del mister. Ora non c’è nessuno che si rilassa”.
Sulla crescita del gruppo in questi anni: “La qualità non basta. Per migliorare e per far crescere la squadra bisogna saper soffrire e avere la giusta mentalità per lavorare e guardare in avanti. Puoi fare tante cose con un gruppo, anche con meno qualità. Nel mondo del calcio c’è solo una cosa che comanda, ed è la mentalità. Tutti sanno giocare a calcio. Per il budget speso dal Milan in questi quattro anni ci sono pochi in Europa che sono riusciti a fare quello che abbiamo fatto noi”.
Da cosa aveva capito che il Milan poteva vincere lo scudetto: “Qualità. Non puoi parlare di Scudetto se non hai qualità. Se riesci ad avere questi standard alti ogni giorno allora puoi fare cose che nessuno si aspettava. Non penso che se lo aspettasse qualcuno, nemmeno i milanisti quelli veri”.
Sul grave infortunio durante l'anno dello scudetto: “Se potessi cambiare una cosa nel mio percorso sicuramente direi l’infortunio. Ma mi ha fatto crescere tantissimo. Devi sfruttare i momenti che hai. È stato più facile la gioia pura nel mio lavoro ma anche a casa con la mia famiglia. Ero molto consapevole delle cose che facevo anche prima, ma ora è il doppio. Se devi fare 10 magari ad un certo punto fai 9, poi 8 e così via. Però ogni volta che vai da 10 a 9 devi capire che hai perso il 10%. E se metti tutto insieme diventa tanto. Se fai capire questa cosa allora la squadra può crescere ancora di più. Abbiamo fatto un grande percorso, siamo cresciuti tanto. Bisogna però migliorare ancora”.
Sull'importanza della moglie in questo percorso? “Fondamentale. Se non stai bene a casa non stai bene fuori. Per quanto io voglia bene al Milan, rispetto alla mia famiglia il Milan è il “fuori casa”. Milano è anche casa dei miei figli, parlano meglio l’italiano che il danese. Milano è diventata casa”.
Sul come vuole essere ricordato: “Come un difensore che ha lasciato un impatto ai ragazzi. La grinta, queste cose. È una parte di me che porterò sempre, anche quando non giocherò più a calcio”.
Sulla nomina dei 30 candidati al Pallone d'Oro: “Il percorso che ho avuto col Milan è stato il sogno della mia carriera. Avere la possibilità a 32 anni di andare al Pallone d’Oro con la maglia del Milan. Avrei messo la firma a 18 anni”.
Su cosa è speciale il Milan:“Sicuramente la storia. Quando ero un ragazzo il top era il Milan. Anche Maldini ha avuto un impatto su quello perché era il difensore più forte al mondo. Quando tu segui un difensore segui questo tipo di difensori”.
Su cosa significa essere squadra:“Tutto. Parte tutto da là, hai bisogno di tutti per farlo. Non puoi fare una squadra se 5 persone non ti seguono, non diventa una squadra. Se sei in difficoltà il gruppo può aiutarti. Per la prima volta in carriera ho avuto la sensazione di avere un gruppo come in Nazionale”.
Sul metterci la faccia durante le difficoltà:“Ci sono momenti di gioia e dove prendi gli schiaffi. Non ho mai avuto bisogno di andare a parlare nei momenti belli. So che quando arrivo a casa i miei figli, mia moglie e i miei genitori mi fanno i complimenti. Ci sono altri momenti in cui mi viene più naturale prendere schiaffi su di me. Ma quando senti un messaggio così da tante persone mi conferma che è la cosa giusta”.
Sui compagni di difesa:“Sono sempre stato disponibile con loro. La base, che tu giochi con Kalulu, Tomori, Gabbia e Thiaw, deve essere uguale. Sono pronti ad andare avanti da soli, hanno tantissima qualità. Fik ha più esperienza ora e deve fare quel salto. Ha tutte le possibilità per diventare uno dei difensori più forti al mondo. Gli altri hanno le stesse possibilità ma serve più tempo che sono più giovani”.
Sul rapporto con i tifosi: “Mi sta a cuore. Mi ha sorpreso, l’anno scorso e quest’anno, come si son comportati con noi. Non me l’aspettavo”.
Un messaggio finale:“Grazie a tutti. Il percorso che ho avuto qua è un orgoglio, un sogno che mi ha portato gioia, soddisfazione in carriera e nella vita. Quando smetterò di giocare a calcio, tornerò a Milano a vivere con la mia famiglia perché Milano è casa nostra”. LEGGI ANCHE: Milan, quale allenatore? Fonseca e van Bommel simboli di due correnti >>>
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