Tanti calciatori della sua epoca sono diventati opinionisti, oppure allenatori o dirigenti. Lei è sparito: "Del calcio mi è sempre piaciuto il campo, il resto no. Non mi sono preparato al dopo perché non faceva parte di me. Non amo chiacchierare, dire la mia su tutto. Mi tengo la mia vita da persona normale, cerco di restare in forma in palestra. Non mi piacciono le cose stravaganti. A fine carriera avevo continuato a giocare un po’ con i dilettanti, poi ho avuto un incidente in moto e mi sono fatto male al ginocchio: finito".
Il Milan la deluse? "Ma no, il primo scudetto fu bellissimo. Purtroppo, quella sera in macchina cambiò tutto, però è già tanto non essere morto. Sono vivo, vegeto e lucido e mi basta così. Per cui, dico grazie alla sorte".
Cosa ricorda di quei giorni? "Sono stato in coma, e quando mi sono risvegliato parlavo come un bambino. I giorni passavano, io recuperavo con fatica, ero rallentato e non me ne accorgevo. La lentezza l’avevo anche quando tornai in campo, mi servì del tempo ma diventai di nuovo fortissimo, anche se ormai c’era quel luogo comune: “Lentini non è più lui”. Fesserie".
Davvero dentro di lei non era cambiato niente? "Veramente, qualcosa sì: avevo perso la voglia di lottare. Mi scoraggiai tantissimo quando Capello mi escluse dalla finale di Coppa dei Campioni del ’95 a Vienna, tra Milan e Ajax. Stavo benone e fu un colpo molto duro, un bivio. Posso dire che la mia carriera sia finita quel giorno". LEGGI ANCHE: Milan, a giorni l'annuncio del ritorno di Ibrahhimovic | PM News >>>
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