Sul suo arrivo al Milan nel 1987: «Berlusconi chiese di vedermi attraverso un comune amico, Ettore Rognoni, con cui avevo una frequentazione fin da ragazzo. Non sapevo che cosa volesse da me. Pensavo che gli interessasse qualche giocatore del mio Parma. L’appuntamento era il lunedì nella villa di Arcore. Ma tutto slittò perché Berlusconi era a Saint Moritz e l’elicottero non poté decollare a causa di una forte nevicata. Rognoni mi chiese di posticipare di una settimana. Gli dissi che andava bene, purché prima di venerdì perché per quel giorno dovevo dare una risposta alla Fiorentina che mi aveva cercato. Ci incontrammo il martedì ad Arcore. C’era anche Galliani. Parlammo di calcio dalle otto di sera alle due di notte. Berlusconi mi spiegò il progetto, io ero entusiasta e accettai anche se tornando a Parma, in autostrada, ci ripensai perché non potevo comportarmi male nei confronti della Fiorentina che avrei dovuto incontrare. La mattina telefonai a Rognoni e gli spiegai il problema. Lui mi rassicurò. “Berlusconi ti vuole a tutti i costi. Dobbiamo tornare ad Arcore, è pronto il contratto” mi disse. Andammo, Berlusconi non c’era: era impegnato con Pippo Baudo e Raffaella Carrà. Io firmai il contratto in bianco. Spiegai che era il mio modo per ringraziarli della loro fiducia. Io ero un perfetto sconosciuto e mi stavano dando una grandissima opportunità. Scoprii che avrei guadagnato di meno di quello che prendevo in B al Parma, ma non m’importava».
Su cosa gli chiese Berlusconi: «Di giocare bene e di vincere. In questo esatto ordine: prima veniva il gioco e poi, come diretta conseguenza, il risultato. Il successo doveva essere figlio del merito, mi spiegò, e doveva generare spettacolo».
Su quanto lo aiutò Berlusconi: «Tantissimo. Mai sentito un presidente tanto vicino. E anche Galliani. Mi telefonava ogni giorno, s’informava sui giocatori, su come stavano e si allenavano. Era parte attiva nella squadra e i ragazzi lo sentivano».
Su eventuali dubbi di Berlusconi su Sacchi che, all'epoca, era quasi un signor nessuno: «Mai. Sentii sempre la sua fiducia. Sapevo che gli era piaciuto il modo in cui avevo fatto giocare il Parma nelle partite di Coppa Italia contro il Milan, si trattava di riproporre quello spartito con giocatori di livello tecnico decisamente superiore. Tuttavia, in principio, non fu semplice far capire i metodi di lavoro: tutti erano abituati a lavorare diversamente. Inoltre i risultati non arrivavano e cominciavano a piovere le prime critiche».
Sul momento delle prime critiche: «Berlusconi convocò il sottoscritto e tutta la squadra nel suo ufficio. Ci fece rimanere in piedi e, guardando negli occhi i giocatori, disse: “Sacchi è l’allenatore che ho scelto io e rimarrà anche il prossimo anno. Di voi, invece, non so chi resterà. Buon lavoro”. Bastarono queste poche parole per far breccia nelle teste dei giocatori. Che subito si adeguarono al clima».
Su Berlusconi che non voleva acquistare Carlo Ancelotti: «Aveva perplessità sulle condizioni fisiche di Carletto. Mi disse: “Non possiamo prendere un giocatore che ha il 20% di invalidità in un ginocchio”. Gli risposi: “Presidente, mi preoccuperei se l’invalidità ce l’avesse in testa. Le garantisco che se lei compra Ancelotti noi vinciamo lo Scudetto”. Mi accontentò. E io accontentai lui portandogli il tricolore».
Sul fatto che Berlusconi gli potesse consigliare la formazione: «No. E che io ricordi mai mi chiese gli undici che sarebbero scesi in campo, forse perché li immaginava già... Però non c’è stata una volta che mi sia sentito con le spalle al muro perché Berlusconi aveva fatto una richiesta particolare su un giocatore: ho sempre avvertito una totale libertà».
Sulla sua conferma come allenatore senza essere avvertito: «Accadde il primo anno. Io ero abituato a firmare contratti per una sola stagione. Dopo sei mesi di Milan ero sfibrato. Berlusconi capì che stavo vivendo un momento difficile, la domenica era in programma il derby contro l’Inter del Trap. Senza dirmi nulla, parlò con i giornalisti e dichiarò: “L’allenatore del prossimo anno sarà ancora Arrigo Sacchi”. In quel modo diede un segnale a tutto l’ambiente e soprattutto mi aiutò a superare il periodo di tensione».
Su Napoli-Milan 2-3 del 1988: «Il martedì ci invitò a cena ad Arcore. Io e tutta la squadra. Tenne un lungo discorso sull’importanza che rivestiva per lui il Milan. E poi aggiunse: “Chiedo a tutti voi un sacrificio. Per un mese niente sesso. C’è la possibilità di vincere lo Scudetto, non possiamo sprecarla. Per il resto, avrete tutto il tempo”. La reazione dei giocatori? «Tutti zitti tranne Gullit che intendeva ribellarsi a quell’imposizione. Berlusconi non la prese bene la reazione di Ruud».
Sui primi trofei con il Milan: «E Berlusconi sempre pronto a sostenerci. Lo chiamavo due volte al giorno. Mi ripeteva: “Parlare del Milan mi rilassa”. Era proprio così. Si divertiva, raccontava aneddoti, conversava anche con i giocatori. L’anno dello scudetto capitò una cosa che mi rimase impressa: dovevamo andare a giocare a Torino contro la Juve e lui ricevette un invito a pranzo dall’Avvocato Agnelli. L’Avvocato gli chiese se poteva venire a salutare la squadra prima della partita, Berlusconi gli disse subito di sì, poi m’informò. Io temevo che i ragazzi subissero il carisma dell’Avvocato, non avevo piacere che ci fosse quell’incontro: così chiesi a Berlusconi a che ora Agnelli avesse programmato la visita. “Alle 13.45, mi ha detto”. “Perfetto, io faccio cominciare il riscaldamento alle 13.30”. Così, quando l’Avvocato entrò nello spogliatoio, trovò soltanto il sottoscritto e Berlusconi. Restò di stucco e se la cavò con una battuta delle sue: “Sapevo che avevate una grande squadra, mi auguravo che voi due poteste rovinarla, ma evidentemente mi sbagliavo”. Berlusconi rise e accompagnò Agnelli in tribuna. Vincemmo e ricordo che il presidente non stava nella pelle dalla felicità: battere la squadra dell’Avvocato, per lui, era qualcosa di più di una vittoria su un campo di calcio».
Su Berlusconi che voleva Claudio Borghi nel Milan di Sacchi: «Si era innamorato di questo trequartista dopo averlo visto nella finale della Coppa Intercontinentale tra la Juve e l’Argentinos Juniors. Lo acquistò dopo un’asta alla quale avevano partecipato pure i bianconeri. Io lo analizzai in allenamento e capii subito che non era funzionale al mio gioco. Con l’aiuto di Galliani riuscii a convincere Berlusconi a non inserirlo nel Milan e mi feci comprare Rijkaard. Lui era pazzo per i fantasisti, ma quando gli spiegavo che un giocatore doveva essere importante per l’economia della squadra e non soltanto per i numeri da funambolo che faceva, il presidente mi ascoltava».
Sulle vittorie in Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale: «Il suo progetto si era finalmente completato. E io ero felice per il risultato ottenuto e perché con quel risultato avevo ripagato Berlusconi della fiducia che aveva riposto in me, emerito sconosciuto che era sbarcato a Milano dalla piccola Fusignano. Ebbe coraggio a prendere uno come me. Molto coraggio».
Sulle strade che si divisero nel 1991: «Lasciai il Milan, anche se lui voleva ancora tenermi. Ma in realtà io non ho mai abbandonato il Milan, nel senso che la profonda gratitudine che porto verso quell’ambiente è sempre dentro di me. E con Berlusconi il rapporto è proseguito nel tempo. Quando sono andato in Nazionale, quando sono tornato al Milan per un breve periodo, e quello fu un errore, quando ho fatto altre esperienze. Ci siamo sempre sentiti e abbiamo sempre condiviso le nostre idee sul calcio. Anche quando è diventato Presidente del Monza mi ha chiesto consigli e io glieli ho dati. Era un uomo generoso, passionale e appassionato». Milan, un vice Bennacer di qualità per Pioli >>>
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