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“Vado forte in salita così la sofferenza dura meno”. Una frase che racchiude tutto il mondo di Marco Pantani. Sono passati 15 anni, troppi, da quel San Valentino del 2004 quando l’angelo della montagna se ne andava per sempre. E con lui tutte le emozioni che aveva suscitato nei cuori di milioni di tifosi.
Era un combattente Marco, forte e gentile, chiuso nel suo mondo ma capace di aprire l’anima verso gli altri in sella ad una bicicletta e con una bandana in testa, pronta ad essere lanciata via. Sì, perché era quello il momento dell’attacco, l’attimo topico e fondamentale. Marco si levava il famoso copricapo e gli occhi dei tifosi iniziavano a brillare e i cuori a vibrare. Ne sanno qualcosa i vari Ullrich, Armstrong, Tonkov e tanti altri. Tutti impotenti di fronte ad una forza della natura, cresciuto a mare e piadina ma che in montagna trovava il suo habitat naturale. Ed è forse anche per questo che l’amore incondizionato dei tifosi non è mai mancato se non aumentato con il passare del tempo. Campione di sfortuna ma tenace come un leone, capace di rialzarsi sempre e comunque. Come dopo quella Milano-Torino maledetta, una gamba spezzata e una carriera appena iniziata ma già in bilico.
Ma la sfortuna non sa con chi ha a che fare. Marco è piccolino ma dentro non lo piega nessuno. E allora torna, più forte e completo di prima, convinto di poter essere quel campione che in Italia viene aspettato da troppo tempo. Se ne accorgono prima in Francia, dove quel Pantanì pronunciato con il tipico accento transalpino, risuona vibrante nei microfoni di giornalisti e non. E’ il momento migliore, Giro e Tour, vittorie e gloria. Ma si sa, quella sfortuna ci riprova sempre e quasi quasi ci riesce. Marco cade, viene spinto fuori strada, da chi, ancora non si sa, ma quel giorno a Madonna di Campiglio pesa come un macigno su di un corpo forte ma un animo debilitato. Da cosa? Povero Marco, oltre che le vittorie, volevano toglierti anche i tifosi, infangando un nome che invece resterà per sempre nella gloria del ciclismo.
Ed è così che per l’ennesima volta, il Pirata di mille battaglie si rialza, con la sua bandana e il diavoletto del Milan sul sellino, forte e pimpante come sempre. Torna la vittoria ma forse non la gloria che solo un paio d’anni prima lo aveva ricoperto dell’amore di tutti. Arrivano altri nemici, si chiamano depressione, solitudine e, ahimè, droga. Sì, perché Marco è stato lasciato solo, non da una famiglia stupenda, ma da un ambiente che ha ricevuto tanto ma ha riconsegnato poco.
Fino a quel 14 febbraio 2004, quando un ragazzo che negli occhi aveva quelle emozioni ben stampate, si vede buttato il suo idolo lì, come un criminale qualunque. E il divano che ancora piange. Tutti piangono Marco, non si può fare altro. Ma tu non morirai mai, mai. Vivi nelle emozioni di chi ti ha amato incondizionatamente. Come in quelle di quel ragazzo che vedeva in te un esempio. E lo vede ancora. Nonostante tutto. Grazie Marco, grazie di cuore.
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