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Bryan Cristante, centrocampista dell'Atalanta (credits: GETTY Images)
Uno dei tanti ex della partita di oggi tra Milan e Atalanta sarà Bryan Cristante, cresciuto nel vivaio rossonero, ma che ha preferito andar via, spalancando le porte a un altro ex della partita: Giacomo Bonaventura. Oggi Cristante si racconta ai microfoni de "La Gazzetta dello Sport". Ecco le sue parole.
Su Gasperini e i giovani: "Fra dieci anni dirò che è stato lui a farmi diventare chi sono. L'ho incontrato a 21 anni e per lui dimostrare che i giovani possono e devono giocare è come una missione. Poteva succedere al Benfica, ma c'erano i vari titolari di 28-30 anni e poco feeling con gli allenatori. Con Gasperini il rapporto cresce di giorno in giorno. Non sono consigli generici, ti fanno sentire unico. È quello il punto".
Sull'idolo Kobe Bryany: "Finchè non hai 21 anni negli USA non puoi fare quasi nulla, per questo un viaggio lì lo farò solo la prossima estate, purtroppo libera. Amo tutto ciò che è americano. Ho scelto più volte il 24 di Bryant, non perchè ho il nome che somiglia al cognome. Ho letto molte interviste e sono rimasto ossessionato dalla sua voglia per il miglioramento. Poi l'ho incontrato a Milanello".
Sullo spogliarello con Petagna al Milan: "La noia fa brutti scherzi. Ti inventi cose per passare il tempo e a volte vengono male. Convitto Milan semivuoto e a Petagna venne questa idea di spogliarsi, con me che filmavo e poi avrebbe fatto un post. In quel video non si vedeva nulla, ma mi ricordo la faccia di Galli quando ci prese da parte e ricordo anche la lettera di richiamo".
Sulla lentezza: "È vero, prima ero molto lento. Mi sbattevano in faccia paragoni con Redondo, ma così ho capito che dovevo cambiare marcia. Ci ho lavorato su. Oggi sono un falso lento, non è male: a volte ci cascano".
Sulla boxe: "È un diversivo, per cambiare un po'... Non ho mai fatto combattimenti veri. Ho solo fatto conoscere al mio fisico una nuova meccanica di movimenti. Nulla da trapiantare nel calcio come Ibra e il taekwondo".
Su Gattuso: "A Gattuso posso dire solo grazie, così come al Milan dai... Mi hanno preferito giocatori già pronti. Il mio agente e Galliani si sono fatti tante litigate. Però mi ha lasciato libero di crescere, anche se altrove. Rino non l'ho mai visto risparmiarsi nè in allenamento nè in un cazziatone nè nelle belle parole. Ci riuniva spesso ma parlava anche solo con me. Era già allenatore ma vederlo in panchina mi fa strano".
Sulla Premier League: "Era un sogno quando c'erano degli osservatori al Torneo di Viareggio e lo è ancora, spero diventi realtà un domani. In tanti mi dicono che è perfetta per me. Sono d'accordo, mi ci vedo. In più ora è il momento giusto, non come quando sono andato al Benfica da ragazzino".
Sui gol di testa: "È solo istinto, niente lavoro specifico. Dipende da dove ti trovi e Gasperini più di altri insiste con gli inserimenti dei centrocampisti. Non tutti li chiedono. Ora sono più concentrato a vedere la porta e ai tempi giusti, ma l'effetto sorpresa è finito. Mi marcano di più".
Su Selene: "Quasi nessuno sa nulla, anche se stiamo insieme da un anno. Sono molto riservato e poco social. Lavora in una clinica medica. L'ho conosciuta quando ero a Pescara e vive a Milano come me. Ha qualche anno più di me e non guasta... Se giochi a calcio una donna deve darti serenità e stabilità. Noi viviamo soli da ragazzi, maturiamo più in fretta..."
Lui predestinato: "Dissero che lo ero dopo l'esordio in Champions League a 16 anni. Mi chiedevo destinato a cosa. Mai data troppa importanza a certe parole. Supertitolare al Milan e brocco al Palermo. La chiave è ascoltare solo chi vuoi tu. Ricordo quando Dolcetti mi ha detto che dovevo andare a Milanello per preparare la gara di Champions. Pensavo di fare rifinitura e basta, invece ero tra i convocati. Non sapevo manco dove sedermi in pullman e in aereo. Finì addirittura in panchina. Allegri mi disse che mi avrebbe fatto entrare, Ibra seduto accanto a me mi disse di stare sereno e che sarebbe stato facile. Col cavolo, ero stordito e non capivo più che mi dicevano. Correvo dove capitava".
Sul Canada: "Non ho mai chiesto a mio padre, ma ho capito che per il mio nome c'è di mezzo Bryan Ferry, cantante che adorava. È nato e vissuto un po' in Canada. Anche mamma ha degli zii emigrati là. Ci andrò presto. Il c.t. canadese mi voleva in Nazionale, dissi no e poi mi chiamò Ventura".
Sull'esordio in Nazionale: "Fu un'emozione diversa da quella dell'esordio in Champions. Sapevo che poteva accadere, o io o Barella. Non immaginavo di non poter sognare il Mondiale. Non va vista come tragedia sportiva ma come step che apra altre porte. Sono obbligatori nuova mentalità e nuovo gruppo. Bisogna puntare all'Europeo tra due anni. Il tempo c'è".
Sul suo ruolo: "Tutti gli allenatori si chiedevao dove stessi meglio. Nella Primavera del Milan difensore, in Under facevo il trequartista. Alla fine sono tornato in mezzo. Nessun problema, è buono saper cambiare. Se me lo chiedessero però direi che sono una mezzala. Basta che mi chiedano le due fasi".
Sul tatuaggio da "matti": "Io e Petagna volevamo farci un tatuaggio e ce lo siamo fatti in arabo per renderlo misterioso. Abbiamo scritto "matti" sul braccio. Lo siamo un po' tutti, ognuno a modo suo. Io sono un bel matto, ma solo se non do nell'occhio. Sono matto nella banalità".
Sull'Atalanta: "Con loro ho fatto il mio primo provino a 9 anni. Non ricordo molto, solo che eravamo un fiume di giocatorini sparsi ovunque. Il responsabile del settore giovanile era Bianchessi e quando passò al Milan si ricordò di me. Nell'Atalanta un giovane trova un club con la cultura della pazienza. Ho avuto una sensazione mai provata neanche al Milan o al Benfica. Mi sento un progetto su cui investire e lavorare a 360°".
Sull'Europa League: "Alcune cose diventano priorità da sole. Se una cosa te la prendi facendo fatica, quello sforzo diventa forza. La chiave è che siamo dove ci meritiamo, quindi possiamo starci. Giocare in Europa ti dà un'altra spinta. Giocare con Lione ed Everton poteva essere un ostacolo, è diventato un aiuto. Sarà così anche con il Borussia Dortmund".
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