Di questo gruppo di lavoro, con il tecnico Stefano Pioli al centro, fanno parte il responsabile dell'area scout, Geoffrey Moncada e Billy Beane, il 'mago dei numeri', con l'amministratore delegato Giorgio Furlani a vidimare le scelte. In sostanza, il famoso 'comitato', quel processo decisionale collettivo che vigeva prima dell'ultima stagione (come noi di 'PianetaMilan.it' vi avevamo già anticipato nella nostra esclusiva). Ora, con Maldini (e Frederic Massara) in meno, Cardinale sarà più presente nella vita operativa del Milan.
È un peccato che non si possa proseguire insieme, ha commentato il 'Corriere della Sera'. Tifosi disorientati. Vedevano in Maldini il garante del 'milanismo'. In un'azienda, però, si deve andare tutti nella stessa direzione e le due filosofie erano troppo distanti per non prendere strade diverse. Maldini, da responsabile dell’area tecnica, voleva mantenere l’autonomia ottenuta un anno fa, che gli consentiva di spendere con delega in bianco un budget per il mercato.
Questione di approccio diverso, due modi di fare agli antipodi
—Non sono state solo le scelte reputate sbagliate: è proprio una questione di approccio diverso. Quello di Maldini, il più diffuso nelle società italiane «mono-proprietà», è considerato «vecchio stile» da Cardinale che pretende, al contrario, «condivisione» delle scelte. L’errore, si potrebbe dire, è stato il rinnovo di un anno fa, ma il cambio di proprietà in corso ha sconsigliato di scegliere la via della discontinuità.
Insomma, è stato un anno di reciproca prova. Che non è andato bene. Maldini, ha concluso il 'CorSera', aveva chiamato pubblicamente la società a investire. Cardinale, invece, non pensa che vince chi spende di più, ma chi lo fa meglio. Modi inconciliabili di lavorare e che hanno portato alla rottura. Milan, parla Furlani su Maldini e futuro >>>
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