
Undici, una squadra. Questo è il numero degli ex tra giocatori e allenatori che hanno vestito la maglia del Milan e del Torino. Ne parla l'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport.
MILAN-TORINO
Undici, una squadra. Questo è il numero degli ex tra giocatori e allenatori che hanno vestito la maglia del Milan e del Torino. Ne parla l'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport.
Il primo nome che fa la rosea è quello di Vittorio Giuseppe Luigi Enrico Pozzo. Nasce a Torino, studia al Liceo Cavour, impiegato alla Pirelli. Parla cinque lingue, durante la Grande Guerra è tenente degli alpini. Gioca 5 anni nel Torino, poi diventa il primo allenatore ufficiale dei granata. Guida la Nazionale e il Milan una stagione e mezza. Dopo solo Nazionale. Campione del Mondo nel 1934 e 1938. Raccontano: carica le sue squadre con canzoni patriottiche. In panchina sino al 1948, poi anche grande giornalista.
Baloncieri è un pioniere della disciplina tattica, un organizzatore, un ispiratore. In campo è una delizia, inimitabile. In panchina esalta le sue convinzioni e la sua fantasia. Quattro stagioni al Milan, un posto nella storia del Torino. Quando la società granata fonda il settore giovanile, le speranze sono chiamate “Balon Boys”.
Mario Sperone guida il Grande Torino e vince, nel 1947, il penultimo dei 5 scudetti. Sedici punti (quando valevano due a vittoria) di vantaggio sulle tre seconde: Milan, Juve e Triestina. La panchina granata è casa sua: entra ed esce quattro volte. L’ultima nel ’51, in piena ricostruzione dopo Superga. Con il Milan, nel ’52-53, raggiunge un terzo posto. Annata deludente: con il Gre-No-Li, poteva e doveva fare molto di più. Lo chiamano il Mastino e inventa il motto: «Palla avanti e pedalare».
Giuseppe Bigogno, detto Peppino, nel secondo dopoguerra partecipa alla costruzione del Milan e passa alla storia per una strepitosa partita a San Siro contro il Grande Torino: 3-0 il primo tempo, i campioni d’Italia tentano la rimonta, ma segnano solo due gol. Impresa storica, il 25 gennaio 1948. Al Torino nel dopo-Superga, Bigogno diventa famoso anche per la bravura nell’addestrare i giovani e per la cura dei fondamentali.
Paron resta nove stagioni al Milan, quattro al Toro. Vince uno scudetto e la prima Coppa dei Campioni, litiga con il suo d.t. Gipo Viani e, corteggiato da Orfeo Pianelli, si trasferisce a Torino. Fatica a inserirsi ma al secondo anno è terzo. Quel Torino mette le ali, cioè Meroni e Simoni. Nereo Rocco li chiama “i miei Luigi d’oro”. Torna al Milan e rivince lo scudetto e la seconda Coppa dei Campioni.
Gustavo Giagnoni diventa subito il simbolo del Toro. Il sardo con il colbacco sfiora lo scudetto, battuto solo dalla prima Juve dell’era Boniperti. Gustavo è sanguigno e ribelle e rimane nel cuore e nella memoria del Toro, e non solo per aver colpito con un pugno Causio che lo aveva offeso. Lo chiama il Milan, ma non è amore. Anzi. Si scontra con Gianni Rivera, ormai padrone di tutto. La sua avventura rossonera finisce dopo una stagione.
Il Torino di Radice conquista uno storico scudetto (il primo dopo Superga) dopo un appassionante duello con la Juve di Carletto Parola. Il capolavoro di un tecnico che ha saputo incidere, introducendo pressing nordico e spettacolo, nelle abitudini del calcio italiano. Al Milan, 5 anni dopo, non è andata bene. Società in difficoltà,
Massimo Giacomini porta l’Udinese dalla serie C alla A. Va al Milan e arriva terzo. Ma il 1980 è il terribile anno dello scandalo-scommesse. Segue il Milan in B, lo riporta in A, lo cacciano. Va a Torino e si leva un paio di sassolini. Batte il Milan 2-1 all’andata e, nella penultima a San Siro, quando i rossoneri hanno disperato bisogno di una vittoria per salvarsi, non si commuove. Il suo Toro resiste e pareggia 0-0, rossoneri giù.
Zaccheroni nasce in Romagna, come Sacchi. È nato il 1 aprile, come Sacchi. E, come Arrigo, vince lo scudetto al primo colpo. Ovviamente zonista, ma in Europa non ha fortuna. A Istanbul, 2001, in pochi minuti perde contemporaneamente Champions League e Coppa Uefa. Non è amato da Berlusconi, cordialmente ricambiato. Allena molte grandi, Milan, Inter, Juve e Torino. E Lazio. Emergente negli anni Novanta, quando arriva al Toro è in deciso calo. Sostituisce De Biasi e sarà sostituito, nel finale, da De Biasi dopo una sconfitta con il Chievo. Salvezza sofferta.
Sinisa e Donnarumma Mihajlovic si presenta al Milan con questa frase: «Ci sono squadre che hanno diritto di sognare di vincere. E altre che hanno dovere di vincere. Il Milan fa parte di queste ultime». Come il Torino. Sinisa fa un solo anno al Milan, ma lascia in eredità Donnarumma, lanciato a 16 anni. L’anno dopo, 2016, è granata. Scrivono: «Piace quella sua spigolosità, quel suo essere ferocemente determinato, quel suo essere da Toro». Lascia i granata dopo un ko in Coppa Italia con la Juve.
Marco Giampaolo era, è ancora, uno dei tecnici più preparati. Apprezzato a inizio carriera per le sue idee di calcio, negli ultimi anni il suo percorso ha subito un brusco rallentamento. Guida il Milan dall’agosto all’ottobre 2019. Sette partite, quattro sconfitte, tre vittorie ed esonero alla settima giornata. Sostituito da Stefano Pioli. L’anno successivo è a Torino. Diciotto gare, due vittorie e un altro esonero. Panchina a Davide Nicola. 5’28”. Club più sostenibili in Europa, la classifica: guarda dov'è il Milan >>>
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