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Pirlo: “Al Milan dieci anni fantastici. Inzaghi era il massimo, Maldini un leader autorevole”

Andrea Pirlo, ex Milan,  foto www.telegraph.co.uk

Andrea Pirlo, centrocampista dei New York City, ha parlato al CorSport dei ricordi più belli della sua carriera, alcuni dei quali legati ai colori del Milan

Daniele Triolo

Oggi, a quasi 38 anni, Andrea Pirlo milita nella Major League Soccer statunitense, dove difende i colori dei New York City ma, nel corso della sua carriera europea, 'Mozart' si è tolto delle belle soddisfazioni, vincendo tutto ciò che c'era da vincere con le maglie di Milan e Juventus, nonché della Nazionale italiana, con la quale si è laureato Campione del Mondo nel 2006 nella notte di Berlino. Pirlo si è confidato al 'Corriere dello Sport – Stadio', dove ha ripercorso le tappe più significative ed i momenti più belli della sua carriera, alcuni dei quali, naturalmente, legati all'esperienza in rossonero. Queste le sue dichiarazioni al riguardo.

Sull'allenatore più importante avuto in carriera: “Tutti mi hanno dato qualcosa. A partire da Lucescu che ha iniziato a portarmi nella prima squadra a 15 anni. Lui mi ha dato lezioni tattiche, tecniche, mi ha spiegato cosa si fa giocando con giocatori professionisti. E poi ho avuto Mazzone a Brescia, Ancelotti al Milan. E poi Conte, Lippi: ne ho avuti tantissimi bravi e tutti mi hanno insegnato qualcosa”.

Sull'attaccante con cui si è trovato meglio: “Inzaghi per me era il massimo, perché era sempre sul filo del fuorigioco. E quindi, appena avevo la possibilità di lanciargli la palla sapevo, anche senza guardarlo, che lui correva in quella direzione. Era un fenomeno a giocare sulla linea. Magari tre o quattro volte andava in fuorigioco, però quella volta che non ci andava faceva gol. Quindi ci trovavamo ad occhi chiusi”.

Sull'esperienza che ricorda con maggiore nostalgia: “Nostalgia no, sono felice della mia vita da calciatore. Ho avuto la fortuna di militare nelle tre squadre più grandi d'Italia. Nell'Inter, anche se ho giocato poco, nel Milan e nella Juventus. Ho vinto tutto quello che c'era da vincere, quindi più di così non potevo chiedere al calcio. Ho fatto dieci anni fantastici al Milan, abbiamo vinto Champions, Scudetti, eravamo un gruppo straordinario e lo stesso poi nei quattro anni di Juve. C'è stata la rinascita di questa società e sono contento di averne fatto parte”.

Sui presunti problemi con Massimiliano Allegri al Milan: “C'erano stati dei problemi perché io ero stato infortunato quattro mesi quell'anno. Sono tornato quando la squadra andava bene e per lui era anche difficile cambiare la formazione. Abbiamo vinto il campionato. Alla fine di quella stagione io ero in scadenza e dopo 10 anni ho deciso di cambiare. Avevo bisogno di qualcos'altro, di mettermi alla prova. Volevo fare una nuova esperienza ed ho provato la Juventus: ero convinto di essere il numero uno e ci sono andato con forti motivazioni”.

Sull'importanza di un nucleo di giocatori italiani: “E' fondamentale, l'ho sempre detto. Al Milan eravamo un grande gruppo di italiani e come nucleo storico abbiamo vinto. Alla Juventus era uguale. Quando c'è una base solida di italiani, quelli che arrivano prendono esempio dalla solidarietà di quel nucleo e poi si tira tutti dalla stessa parte”.

Sulla vittoria più bella e la sconfitta più dura in carriera: “La vittoria più bella sicuramente il Mondiale, che rimarrà tutta la vita dentro di me. Avevo il sogno di giocare un Mondiale e di vincerlo. Sono riuscito a farlo. Più di questo non potevo chiedere al calcio. La sconfitta è quella di Istanbul, quando il Liverpool recuperò 3 gol al Milan. Dopo quella partita ci guardavamo in faccia e dicevamo: cos'altro ti può succedere nel calcio dopo che accade una cosa così? Non può succedere nient'altro: una partita già vinta, poi subisci tre gol, ma hai altre occasioni per rivincerla ed alla fine la perdi e non ti rendi neanche conto del perché. Poi, per fortuna, il calcio riesce a ridarti anche altre opportunità. E due anni dopo siamo riusciti a rivincerla, quella Champions, sempre contro il Liverpool”.

Sui giovani italiani che gli piacciono di più: “A parte Verratti, che ormai è già affermato, mi piacciono Berardi, Gagliardini, Donnarumma, Rugani, Di Francesco, Chiesa, Bernardeschi. E poi mi piace molto Belotti. Una generazione di qualità”.

Su Mario Balotelli: “E' così. Gli è stata data troppa importanza quando era giovane. Tutti aspettavano la sua consacrazione, invece, purtroppo, non ha mai potuto tirar fuori quello che forse ha ancora dentro. Secondo me c'è stata troppa pressione su di lui, ma anche troppe aspettative. Ha fatto dieci gol, si aspettavano tutti forse il nuovo Pallone d'Oro. Invece il calcio è duro, devi lavorare tutti i giorni, devi confermarti in tutte le partite. Non fare dieci partite l'anno e poi aspettare l'anno dopo per farne altre dieci. Solo in Italia è così. Quando uno è bravino lo vogliono far diventare un fenomeno per forza. Al primo errore lo si bastona: è normale, nel nostro calcio emotivo”.

Su Paolo Maldini: “E' stato il leader di squadra più autorevole. Striscioni e fischi a fine carriera? E' il calcio italiano, purtroppo è così. Come si fa a fischiare una persona come Maldini, un giocatore che ha dato tutto per una squadra? Per quale motivo? Perché magari non è andato a cena con dei tifosi o perché non ha fatto qualcosa di strano? Paolo è una persona correttissima. Quello che doveva fare lo ha fatto sul campo, lo ha fatto negli spogliatoi. E lo ha fatto, tutta la vita, per una maglia. Purtroppo è così. Sono ben voluti i leccaculo. Purtroppo io non sono così e preferisco finire come ha fatto Maldini”.

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