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Rocchi: “VAR importante, ma alla fine decida l’arbitro”

Stefano Bressi

L'arbitro Rocchi ha parlato del VAR a poco dall'inizio della nuova stagione di Serie A, definendolo una ciambella di salvataggio. Ecco le parole di Rocchi.

ULTIME MILAN - Trent’anni di arbitraggi costruiti su due parole per Gianluca Rocchi, veterano degli arbitri di Serie A: "Decidi e prosegui". Sembra semplice, e invece... "Lasciarsi alle spalle un episodio dubbio, andare avanti senza che la tua sicurezza ne sia intaccata, è un esercizio difficilissimo, in ogni partita, anche se ne hai trecento alle spalle..." ha detto a "La Gazzetta dello Sport". La prossima stagione, la diciassettesima in Serie A, sarà l’ultima, da arbitro. Lui si sta già preparando a quando passerà: "Quando ci penso, mi viene in mente Totti, il suo discorso di addio, quella parola che non ha provato vergogna a pronunciare: paura. Sì, quello che c’è dopo un po’ fa paura. Quest’ultima stagione me la voglio proprio godere, e vorrei che fosse all’altezza delle mie migliori, per questo mi sto preparando ancor più duramente".

Cosa lo spinse a iscriversi al corso da arbitro: "La passione per il calcio e la consapevolezza che da calciatore non avrei combinato granché. Giocavo a centrocampo, gli Allievi nella Cattolica Virtus, poi la svolta...".

Se oggi sarebbe lo stesso uomo se non avesse fatto l’arbitro: "No, non avrei potuto trovare nulla di più educativo. Una professione che si basa sul rispetto delle regole, e insegna a relazionarsi con gli altri. L’arbitraggio mi ha formato innanzitutto come uomo".

Che mestiere fa: "L’arbitro".

E durante la settimana: "Potrei risponderle l’agente di commercio, o che lavoro nell’azienda di famiglia. Ma io ribadisco: l’arbitro. Un internazionale trascorre duecento giorni fuori casa all'anno. Uno al primo anno di A 130. Anche in Serie B non si gioca solo la domenica. In Lega Pro, si fanno diverse partite a settimana... Noi oggi siamo al 100% dei professionisti, immaginare che il nostro sia un hobby, è anacronistico. Do per scontato, magari esagerando, che su questo concordino tutti, anche nelle istituzioni calcistiche".

Che tipo di arbitro è: autoritario o dialogante: "Spero autorevole... Sicuramente un decisionista. Da giovane ero più burbero, invecchiando sono diventato più dialogante ed è stato un bene. Anche i calciatori sono miglioranti tanto. La cosa più importante è il rispetto dei ruoli e un arbitro per farsi rispettare deve essere equilibrato, sempre. Usare lo stesso metro, con grandi e piccole. Questo ti garantisce rispetto eterno. Non è facile, perché arriva sempre qualcuno che si lamenta, ma bisogna resistere".

Cosa si prova a scendere in campo da... arbitro: "L’emozione più grande è l’ingresso, soprattutto negli stadi pieni, per questo adoro il calcio inglese. Il boato del pubblico è una scarica di adrenalina, in quel momento pensi che bello è aver scelto di fare l’arbitro. Dopo 5’ di gioco, quello stesso momento lo maledici".

Ci sono alti e bassi, come i calciatori. Nelle giornate no, come si regolano: "Io cerco di limitare i danni, come quei centrocampisti che fanno il passaggio corto ed evitano il lancio lungo".

Se è vero che arbitrare in Europa è diverso: "No, è una leggenda. Paradossalmente, arbitrare in Champions è più facile, perché il livello di gioco è più alto. Ma proprio per questo, non puoi permetterti il minimo errore, come il portiere di una grande squadra che subisce uno-due tiri a partita e li deve parare".

Sul VAR: "Già, l’avessi avuta ai miei tempi, quante notti insonni avrei evitato. Un arbitro, quando sbaglia, ci sta male. Ma è il modo migliore per crescere".

Sugli errori dello scorso anno: "Vero, sono andato meglio all’estero. Quest’anno spero di fare bene soprattutto in A".

Ancora sul VAR: "Una ciambella di salvataggio, un modo per evitare di farsi male. Uno strumento, però, che va gestito nel modo giusto».

Come gestirlo: "Il VAR è un supporto all’arbitraggio, non può essere il contrario. Chi va in campo deve restare centrale, e per farlo deve arbitrare bene. Significa prendere decisioni. Assumersi la responsabilità, senza tentennamenti. Così il VAR diventa marginale. Se invece non lo facciamo, mandiamo in difficoltà il collega al video, perché gli diamo un onere eccessivo".

Sulle accuse di competizione col VAR: "Ma no, non è così. Però siamo essere umani, e ci sono rapporti personali in campo. La relazione tra il direttore di gara e il VAR dovrebbe essere soltanto professionale, ma poi capita che un giovane varista abbia qualche timore a correggere il grande arbitro, e il grande arbitro qualche premura a non mandare in difficoltà un giovane collega, facendogli notare dopo 5’ che ha già commesso un errore. È umano, ed è anche per questo che chi va in campo deve avere il coraggio di decidere. Nicola Rizzoli sta martellando su questo tasto, io sono d’accordo. Del resto, anche a me lo scorso anno è capitato di mettere in difficoltà il collega al VAR".

Cosa si dicono con VAR e assistenti: "Meno cose possibili. Quando c’è silenzio, significa che sta filando tutto liscio".

Cosa aspettarsi dalla nuova stagione: "Un campionato bellissimo e più competitivo secondo me. Per quanto ci riguarda, la crescita dei giovani. Dobbiamo dargli fiducia, magari prendendoci dei rischi, ma sono convinto che si dimostreranno all’altezza. Io e Orsato, che siamo i veterani, li aiuteremo a gestire gli eventuali errori, che resta la cosa più difficile".

Se le nuove regole sui falli di mano metteranno un po’ d’ordine: "Ridurranno ulteriormente il margine di discrezionalità. Un braccio alto, o un movimento innaturale, sarà sempre rigore".

Su Stephanie Frappart che arbitrerà la Supercoppa Europea alla prima gara internazionale maschile della sua carriera. Lui ci ha messo tredici anni per arrivarci: "L’Uefa non ha mai regalato niente a nessuno, lo dico per esperienza personale. E posso testimoniare che la Frappart ha superato tutti i test maschili. Mi auguro faccia bene, e spero che anche le nostre arrivino presto al suo livello".

Cosa farà da grande: "Non lo so, ma qualcosa che mi piace e mi gratifichi, spero nel mondo del calcio".

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