L’eclettismo del giornalismo sportivo italiano è riconosciuto da tutti. Magari non avrà quell’ironia pungente britannica o l’animosità della stampa spagnola, ma siamo sicuri che i voli pindarici del Bel Paese sono solo, e unicamente, roba nostra. Se volessimo spiegarlo in termini più moderni, potremmo facilmente parlare di multiverso.
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Milan, il multiverso ed una stagione che sembra essere già finita
In una realtà parallela una squadra vince 4 partite di fila e si candida nuovamente alla rincorsa Scudetto; in un’altra, invece, la stessa squadra perde in trasferta e poi pareggia in casa con la 16esima della classe e quindi fuori da tutto e stagione fallimentare. Nella fantascienza, però, tali universi non si incrociano mai. A meno che qualcuno non vada a farli collidere, creando un implosione che ne determina la loro fine. Ecco, la stampa italiana lo fa, all’incirca, ogni settimana.
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Il Milan del nuovo modulo, della forma ritrovata, del bel gioco contro l’Atalanta è sparito. Scomparso in 98 minuti, quelli nei quali ha effettuato 24 tiri in direzione Ochoa ma ha segnato solo un misero gol. Un 1-1 che sa più di delusione che rabbia. Perché a leggere i giornali il Milan sembrava esser tornato quello della scorsa stagione. Eppure, la realtà è ben altra. Parla di un campionato che poteva essere riaperto solo a gennaio, ma non è stato così. Cerchiamo di trovare una quadra e non far unire vari multiversi. Poiché questo Milan non è né quello del 19esimo Scudetto, né quello tragico del primo mese dell’anno nuovo.
La discontinuità di risultati del Milan
—Partiamo da un presupposto che possa far mettere in pace con sé stessi tutti i tifosi rossoneri. La squadra vista durante le ultime 6/7 partite della scorsa stagione non poteva assolutamente essere la stessa che ha iniziato questo campionato. La freschezza fisica e mentale, l’attenzione difensiva ed il cinismo dei nostri attaccanti erano frutto di un'occasione irripetibile e ben colta. La rincorsa sull’Inter diede emozioni e stimoli. L’apparente invincibilità del Napoli, invece, ha creato timori e frustrazioni che sono aumentati non appena sbagliata una sola partita. Innegabili i meriti della squadra di Spalletti, che mostra una costanza di gioco e risultati invidiabile, ma altrettanto fortunata poiché colpita da pochi e leggeri infortuni.
Non si tratta di alibi. Il Milan non è al primo posto, e neanche al secondo, meritatamente. I ragazzi di Pioli sono caduti quasi sempre sul più bello. Come a Firenze, a Cremona, a Torino, ma anche a Milano, in quel maledetto pareggio contro la Roma. Eppure, non è cosa nuova e sorprendente. Forse dimentichiamo perché assuefatti dal tricolore sul petto, ma cerchiamo di ricordare alcuni scivoloni della scorsa stagione come la sconfitta contro il Sassuolo, il pareggio contro il Bologna e quello con l'Udinese, senza mai escludere il torto con lo Spezia. L'andamento è lo stesso, ma in quel caso l'Inter non era il Napoli e le occasioni per recuperare si nascondevano sempre dietro l'angolo.
Il bel gioco e Rafael Leao
—In uno dei tanti multiversi esiste un Milan che gioca un calcio bello, entusiasmante, a tratti dominante. Quel Milan lo abbiamo visto tutti, chiaro, ma ricordiamo esattamente quando? Stefano Pioli ha dato un'impronta tattica che i suoi predecessori non hanno saputo forgiare. Ha creato prima un gruppo, poi ha messo i giocatori nelle condizioni di performare ed infine ha dettato i movimenti di un calcio moderno e verticale. Dimentichiamo il possesso palla asfissiante, il tiki taka, il falso 9, i rossoneri guidati da Ibra & Co. giocavano con un'impronta offensiva, sempre in avanti e con la palla che doveva rimanere nella metà campo avversaria. Ecco, quel gioco sopracitato non lo vediamo da un po' di tempo, e non solo da qualche mese. Se andassimo a rivedere le stesse 6/7 partite di fine campionato 2021/22 capiremmo subito che già allora quello stile non c'era, poiché la posta in palio non permetteva di farlo.
Esiste poi un rebus che possiede un nome e un cognome: Rafael Leao. Innegabile quanto sia stato determinante per il 19esimo scudetto, così come indiscutibile la qualità calcistica del ragazzo. Tuttavia, le molte discussioni degli ultimi mesi riportano alla memoria alcune situazioni vissute durante il biennio 2010-12. Ricordate il tanto criticato "Diamo la palla a Ibra e che Dio ce la mandi buona"? Il quadro generale è spaventosamente uguale, con la squadra campione d'Italia ma quasi mai in grado di sfruttare un piano B che non sia uno strappo o un lampo di genio del portoghese. Con il Milan ai quarti di Champions League ed una rincorsa tra i primi 4 posti in campionato serve di più che pregare in Leao. Serve ritrovare il gioco, la voglia di essere padroni del campo, la capacità di sfruttare le tante armi che questa squadra possiede ma che, improvvisamente, sembrano essere sparite. Champions League, fatturati a confronto: la Serie A rincorre >>>
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