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Milan Maldini cane Mario ultime notizie AC Milan (1)
A 11 anni Mario correva veloce sulla fascia sinistra, proprio come Paolo Maldini qualche anno dopo, e qualche volta era arretrato a libero. Il suo idolo infatti era Franco Baresi, storico capitano del Milan di cui era tifoso, ma amava ovviamente anche Marco Van Basten, l'arte rossonera. Una volta ha affrontato il Milan dei pari età e sulla sua fascia aveva giocato Maldini, che ai tempi giocava ancora a destra. Mario si trovò in difficoltà: "Sulla mia fascia giocava Maldini, aveva due anni in meno, ma mi distrusse", ricorda al CorSera, a cui spiega anche il motivo delle lacrime quando l'ha rivisto a San Siro qualche anno dopo: "Perché avevo trovato la mia strada, cavolo". Era bravo tanto da meritarsi una chiamata del Bologna, che avrebbe sistemato lui e la madre. Ma il padre non firmò mai: "Avrebbero trovato una scuola per me, un lavoro per mia madre. Ma mio padre mi disse che se fossi andato via da Milano, lui non avrebbe saputo come fare a stare lì da solo".
Mario quindi non partirà mai e resterà a Quarto Oggiaro, vedendo sua madre piangere per una figlia persa dopo una settimana dalla nascita e dopo aborti clandestini; ammirerà comunque suo padre nonostante affari loschi e violenza domestica. Crescerà in un contesto di furti, risse e coltellate. Poi l'eroina: "Mio padre era il classico zanza milanese, si atteggiava come Vallanzasca o Luciano Lutring, era nipote di una socialista convinta, si definiva un Robin Hood che fregava ai ricchi. Veniva considerato il più intelligente dai suoi compagni, aveva ideato un metodo tutto suo per rubare dalle casse continue. Era molto vicino alla Banda Dovunque, detta così perché rapinava in ogni parte. Uno dei capi, Ugo Ciappina, è stato il mio padrino. A 14 anni ero un garzone di bottega, studiavo da falegname. A un certo punto passano i miei amici e mi dicono che stavano andando a farsi un pippotto di roba. Mi tolgo il grembiule, chiudo il negozio, li seguo. Non so neanche perché. Partito da Via Padova fino alle Varesine, poi eccoci in un parco a Corso Garibaldi, poco sopra. Dal nulla sono entrato in un tunnel. E non avrei visto la luce fino ai 30 anni".
Di quel gruppo sono tutti morti a causa della droga. E la strada si incattiviva sempre di più. Come se non bastasse, inizia una strage di AIDS in comunità, a cui assiste impotente. L'unica spalla era Massimo, un ragazzo gay con cui amava parlare: "In una frazione di secondo la droga mi faceva diventare ciò che desideravo essere, ti sembra di vedere il mondo dall'alto. Per qualche mese, perché poi l'effetto svanisce. Ma dopo continui a farti per ricercare le emozioni delle prime volte. Mi arrestano la prima volta a 16 anni, avevo rubato un motorino. Mi faccio tre mesi di Beccaria, poi esco ma a 18 sono di nuovo dentro per rapina. Risse nelle docce, ergastolani che affilano i coltelli per farsi giustizia da soli, teste infilate nei cessi alla turca. Però erano i tempi dell'amnistia e dell'indulto. La mia richiesta viene accettata e finisco in comunità. Lì tutti ci facevamo, ragazzini, preti, avvocati. Ma la siringa restava una cosa da nascondere. Uno si incaricava di andarla a comprare, gli altri lo aspettavano sul posto. Finiva che in 10 usavamo la stessa, con tutte le conseguenze del caso. Con Massimo mi piaceva parlare, avrei voluto guardarmi dentro come faceva lui, ma non ci sono mai riuscito. La notte prima di morire scherzava ancora di portargli i preservativi, perchè magari sarebbe riuscito a fare finalmente qualcosa…"
A 24 anni esce dalla comunità ed entra in un gruppo di autoaiuto, dove conosce una ragazza convinta di non potersi più innamorare. Le succede però con Mario, con cui convive per un anno prima di sposarsi. Mario però ricasca nella droga. La moglie lo lascia perché capisce di non poter fare più niente, ma prima gli regala un cane come ultimo tentativo: "Volevo perdere il controllo per non sentirmi un fallito. A un certo punto lei si presenta con un cagnolino, mezzo pastore e mezzo molosso. Io furioso le dicevo che sapeva come stessi e non sapevo che farci con un cane. C'era anche mio nipote lì con lei. Mi avvicino con la testa e chiedo come chiamarlo. Ci pensa un po' su e poi dice Lucky, quindi lo chiamiamo Lucky, che in inglese significa fortunato".
E proprio Lucky gli salva la vita: "Mio padre si era rifatto una famiglia, mia madre beveva e quando esagerava mi vomitava addosso odio e rabbia. Scappavo di casa e vivevo per strada. Lucky non mi ha mai lasciato solo. Dormivo negli androni dei palazzi e mi scaldava con la pancia. Collassavo su una panchina dopo una dose e non faceva avvicinare nessuno. Anzi, la mattina andava da Pino, un panettiere in piazza Lima che mi regalava sempre due cornetti e un caffè. Lucky afferrava il sacchetto e me lo portava. Un giorno lo guardai e gli chiesi se fossi morto cosa ne sarebbe stato di lui. Vivrò fin quando vivrai anche tu, gli promisi. Così ho smesso con tutto".
Oggi ovviamente Lucky non c'è più, Mario ha 56 anni e ha preso altri cani. Non riesce a farne a meno. Nel 2010 gli hanno tolto il cemento da sotto i piedi. Ora sta bene e si augura che le persone a cui ha fatto del male stiano altrettanto bene. Dalla madre con cui si è riappacificato prima che il diabete la portasse via alla sua vecchia moglie. "Bene, per l'Hiv adesso ci sono i farmaci mi hanno detto. Ora devo rifarmi una vita. Ma non so come. Non ho competenze, non ho un lavoro. Vivo in una casa popolare con una pensione di invalidità da 300 euro. Ma non ho paura, il Mario di prima l'ho ucciso. Mia madre la lavavo, la portavo in giro con la sedia a rotelle. Agli amici diceva che per fortuna c'ero io. Il giorno del suo funerale si avvicina mio fratello e mi dice che mio papà stava male".
Mario non lo vedeva da anni, ma ha fatto in tempo a salutarlo: "Prima che morisse gli ho detto che non ero arrabbiato con lui. Al me stesso bambino direi di non avere paura. Di rialzarsi, di scappare lontano. Magari inseguendo un pallone". Intanto ci sono novità importanti in casa rossonera >>>
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