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Milan, la scelta di un modulo eclettico per giocatori eclettici

Francesco Aliperta

Andiamo ad analizzare il nuovo modulo del Milan cucito su misura da Stefano Pioli dopo la vittoria contro l'Atalanta

Alzi la mano chi ha storto il naso, all'annuncio delle formazioni ufficiali di Cremonese-Milan, poiché cementati dall'idea che la difesa a 3 si colleghi sempre ad una filosofia difensivista. Faccia poi un cenno chi ha maledetto la scelta di Stefano Pioli di schierare quel terzetto difensivo risultato sciagurato durante gli ultimi minuti di Milan-Roma. Ed ancora, si faccia sentire chi ha spento la tv alla risposta affermativa del nostro allenatore a continuare con quella scelta tattica.

Ecco, sarebbe interessante recuperare i detrattori adesso, dopo Milan-Atalanta terminata sul risultato di 2-o e con un dato significativo: gli zero tiri in porta dei bergamaschi, squadra da sempre offensivista. Risulta anche contraddittorio questo discorso, poiché oltre agli zero gol subiti nelle ultime 4 partite il Milan ha creato molto ma concluso poco, a rinnegare ancora una volta che non conta tanto la disposizione in campo quanto la filosofia di gioco impressa in essa. Ed i rossoneri, che da ormai 3 anni a questa parte si muovono in modo collaudato, non hanno mai perso il diktat ingegnato dal proprio allenatore, anche in quel buio mese di gennaio.

La falsa difesa a 3 del Milan

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C'è da dire che la presenza di 3 difensori puri potrebbe far cadere in errore, eppure, se prendessimo in esame le caratteristiche individuali di Kalulu, Thiaw e Tomori, capiremmo che, in realtà, non vi è tanta differenza dalla scorsa annata. Il reparto arretrato rimane lo stesso, con l'unica aggiunta del gigante tedesco che tanto sta meravigliando per attenzione e pulizia degli interventi. A cambiare non sono neanche i movimenti se non la rotazione dei protagonisti: Kalulu fa esattamente ciò che faceva Calabria durante lo scorso campionato, agendo da "falso" terzino e quindi staccandosi o arretrando quando la situazione lo richiede. Mentre invece, Tomori, va a mettere una pezza lì dove agisce il binomio Theo-Leao, andando ad impedire agli avversari di approfittare di eventuali imbucate una volta persa palla.

Insomma, a fare un calcolo matematico si intuisce facilmente che questo Milan a volte difende a 3, a volte a 4 e a volte a 5, sempre e comunque in dipendenza dell'avversario ma mai cambiando la base delle sue sortite offensive. Contando poi il ritorno di un portiere moderno come Mike Maignan, fondamentale per partire dal basso o per ribaltare il fronte con un lancio, allora capiamo che in quel mese di gennaio sopracitato a mancare era altro, non la testa o il fisico.

Un attacco imprevedibile

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Detto di una difesa "mobile", passiamo al reparto offensivo. Il trio tutto estro e talento, andando a citare un 4-2 fantasia di Leonardiana memoria, sembra funzionare. Giroud appare supportato in maniera più efficiente, mentre Brahim Diaz ha più liberta di movimento, essendo coperto da un folto centrocampo a 4. La nota dolente, se proprio volessimo trovarla, è incentrata tutta su Rafael Leao. Anche contro l'Atalanta, il portoghese ha mostrato le cose migliori quando partito sulla fascia, come se andasse a cercare zone a lui più confortevoli. Vero che da seconda punta riesce ad attirare a sé più attenzioni e liberare spazio ai suoi compagni, ma a mancargli sembra essere il fiuto del gol. La colossale occasione creata con un azione tutta di prima e assistita da Tonali ne è l'esempio lampante.

Tirando le somme, se il progetto che vede Leao trasformarsi in un attaccante puro andasse in porto, allora ci ritroveremmo, nuovamente, a riempire di complimenti mister Pioli. Il nuovo modulo funziona, sembra ormai essersi congiunto bene con il diktat tattico dei rossoneri volto a rinnegare, qualora ce ne fosse bisogno, che a risultare importanti non sono le posizioni in campo quanto la qualità degli interpreti stessi. “Io come De Bruyne. E ai quarti il Milan”: l’onnipotenza di Calhanoglu

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