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Milan ultimo per crescita dei ricavi negli ultimi 10 anni

Stefano Bressi

CalcioeFinanza, sito specializzato nell'unire calcio ed economia, ha fatto il punto sulla situazione del Milan negli ultimi 10 anni: una sfida per Gazidis.

Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018 il Milan è quello, tra i club analizzati da Calcio e Finanza nella #TenYearsChallenge sui bilanci dei top club europei, che ha registrato la minore crescita del proprio fatturato.

Nel periodo considerato, coinciso con la fase conclusiva della gestione Berlusconi-Galliani e il breve e opaco intermezzo sotto la proprietà dell’uomo d’affari cinese Yonghong Li, il fatturato del Milan, considerato al netto delle plusvalenze, è passato dai 209,5 milioni del 31 dicembre 2008 (fino al 2016 il club chiudeva i conti al 31 dicembre) ai 213,7 milioni dell’esercizio chiuso al 30 giugno 2018.

La crescita assoluta è stata dunque solo di circa il 2% con una crescita media annua calcolata sugli undici bilanci presi in considerazione dello 0,18%.

Per avere un termine di paragone, nel periodo considerato l’Inter, grazie soprattutto all’arrivo di Suning e agli accordi di sponsorizzazione siglati tra il club e la nuova proprietà, ha registrato una crescita del proprio fatturato del 66,7% (da 172,9 milioni a 288,2 milioni), equivalente a una crescita media annua del 4,75% (anche se va specificato che l’impennata si è avuta solo a partire dal 2017).

«Il Milan è come la Ferrari. Anche quando non ottiene grandi risultati sul campo, continua ad essere un brand riconosciuto e amato dai tifosi di tutto il mondo».

Così affermava nell’ottobre 2013 l’allora amministratore delegato rossonero, Adriano Galliani, in occasione del rinnovo per dieci anni della sponsorizzazione tecnica con Adidas, per spiegare le ragioni che avevano portato il colosso tedesco a rinnovare la fiducia nel club, nonostante le difficoltà sul campo, iniziate dopo l’addio della vecchia guardia del ciclo di Ancelotti e le cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva e sfociate poi nell’esonero di Massimiliano Allegri dopo la sconfitta per 4-3 contro il Sassuolo il 12 gennaio 2014.

Un teorema, quello dell’ex ad del Milan, che per quanto fondato su un assunto corretto (anche oggi il Milan ha milioni di tifosi in Italia e nel Mondo) alla lunga ha dimostrato di portare a una conclusione sbagliata.

La mancanza di risultati sul campo si è infatti tradotta in un andamento pressoché piatto dei ricavi commerciali negli anni a seguire, che hanno tenuto solo grazie agli accordi pluriennali (come quelli con Adidas ed Emirates) rinnovati poco prima che iniziasse il lungo declino tecnico e in una crescita del valore del brand di gran lunga inferiore a quella dei competitor.

Già nel 2007, sebbene fosse campione d’Europa in carica e primo nel ranking Uefa, il Milan figurava solo all’ottavo posto nella classifica di Brand Finance, con un brand value di 134 milioni di sterline.

Nel 2018, anche alla luce della lunga assenza dei rossoneri dal palcoscenico globale della Champions League, il Milan è sprofondato al diciottesimo posto con un valore del brand stimato in 226 milioni di sterline, lontanissimo dalle prime della classe.

I risultati non all’altezza del blasone del club registrati a partire dalla stagione 2013-2014 hanno avuto anche un effetto ancora più negativo sui ricavi da diritti tv, e in particolare quelli legati alla Champions League, e in parte anche sui ricavi da stadio.

L’ultima partita del Milan in Champions risale all’11 marzo 2014, quando i rossoneri persero per 4-1 al Calderon contro l’Atletico di Madrid, venendo così eliminati agli ottavi di finale.

Da allora il club sette volte campione d’Europa, secondo solo al Real Madrid in fatto di Coppe dei Campioni in bacheca, non è più riuscito ad avere un rendimento nel campionato di Serie A sufficiente per qualificarsi alla Champions.

Il paradosso è che ciò è accaduto in un triennio 2015-2018 in cui il gruppo Mediaset, controllato da Fininvest come il Milan, ha investito migliaia di euro per acquistare in esclusiva i diritti della competizione.

Un investimento che, col senno di poi, si è rivelato infruttuoso, sancendo di fatto la chiusura di Mediaset Premium, anche perché nel triennio 2015-2018 né l’Inter né il Milan, i due club in Italia con più tifosi dopo la Juventus, hanno preso parte alla competizione.

Probabilmente, ma non esiste la controprova, se Fininvest avesse investito meglio sul Milan (considerato che gli investimenti non sono mancati) in quel periodo di tempo e i rossoneri avessero preso parte alla Champions anche i risultati di Mediaset Premium sarebbero stati diversi.

Nel ciclo 2012-2015 e ancora più in quello 2015-2018 la distribuzione dei premi della Champions League ha rappresentato il perfetto paradigma del calcio moderno: l’attivazione del circolo virtuoso vittorie = più guadagni = più vittorie.

Un circolo virtuoso che la Juventus ha saputo attivare, beneficiando proprio dei ricchi premi legati alla partecipazione alla Champions grazie agli investimenti delle tv, e che invece Inter e Milan non sono riusciti a sfruttare.

Il grafico seguente, relativo al periodo 2008-2016, mostra che, al netto dei premi di partecipazione alla Champions, il gap tra il fatturato della Juve e quello delle due milanesi non sarebbe così elevato.

La cessione del Milan da Fininvest all’uomo d’affari cinese Yonghong Li non è servita a risolvere i problemi analizzati precedentemente. Tuttaltro, il closing ha fatto scattare clausole contenute nei contratti di sponsorizzazione in caso di “change of control” che hanno permesso a storici partner del Milan, come Adidas, di rivedere gli importi al ribasso o di lasciare anticipatamente rispetto alla scadenza dell’accordo, come fatto proprio dal colosso tedesco.

Il bilancio al 30 giugno 2018, predisposto dalla nuova gestione targata Elliott ma sui risultati raggiunti sotto la gestione dell’ex ad Marco Fassone, mostrano si un aumento dei ricavi rispetto al 2008, ma limitato solo al 2%. Sarebbe stato difficile fare diversamente in un solo anno di gestione viste le difficoltà legate all’opaca proprietà cinese.

Ivan Gazidis si è insediato nel ruolo di amministratore delegato del Milan lo scorso 6 dicembre. La sfida che lo attende non è affatto semplice.

Da un lato l’ex ceo dell’Arsenal ha quale mission quella di far crescere i ricavi e in particolare i commerciali del club.

Tuttavia, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi gli sponsor arrivano e pagano cifre importanti a fronte della visibilità, specie internazionale, dei club, la performance sportiva della squadra diventa decisiva.

La partecipazione alla Champions League, come si è visto in precedenza, ha un impatto positivo diretto sui ricavi di un club, grazie all’importante montepremi gonfiato dalle televisioni, ma anche un impatto indiretto sugli sponsor, grazie alla visibilità internazionale che garantisce la partecipazione alla competizione.

Se vuole iniziare a colmare il gap con i club che lo precedono nella classifica dei fatturati il Milan ha dunque come obiettivo imprescindibile il ritorno in Champions League. Per poterlo fare deve dunque allestire una squadra competitiva che sia in grado di fare meglio delle dirette concorrenti, un compito difficile (anche se non impossibile) anche alla luce dei paletti imposti dalla Uefa.

Non per niente il primo atto della gestione Gazidis è stato il ricorso al TAS contro la decisione della Uefa.

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