Grande pasticcio della politica, che negli ultimi anni non ha mai applicato una legge pro giovani in Serie A
Negli ultimi giorni uno dei temi più caldi per quanto concerne il calcio italiano è senza dubbio la decisione di annullare la proroga al Decreto Crescita. Una decisione accolta comprensibilmente male dai dirigenti dei club del massimo campionato. E, soprattutto, l'ennesimo pasticcio della politica negli ultimi anni. Sì, perché ce n'è un altro, forse ancora più grave, che è passato inosservato, e che riguarda l'impiego dei giovani in Serie A.
La Legge di Bilancio 2018, approvata a gennaio 2019, annunciava la modifica della Legge Melandri, per altro la seconda in pochi anni, con l'inserimento del cosiddetto 'radicamento sociale'. Questo introduceva di fatto un criterio in più per la divisione dei ricavi da diritti tv, da calcolare in base ad audience e presenza allo stadio. E alzava la quota da distribuire in parti uguali dal 40% al 50%. Gli introiti venivano quindi divisi così:
Serie A, quella legge sui giovani mai applicata...
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Nel 2019 ecco però una seconda modifica, che incentivava l'utilizzo dei giovani in Serie A ed inseriva una quota almeno del 5% dei ricavi da distribuire in base ai 'minuti giocati nel campionato di serie A da giocatori di età compresa tra quindici e ventitrè anni, formati nei settori giovanili italiani e che siano tesserati da almeno trentasei mesi ininterrotti per la società presso la quale prestano l’attività sportiva. Comprendendo nel computo eventuali periodi di cessione a titolo temporaneo a favore di altre società partecipanti ai campionati di serie A o di serie B o delle seconde squadre partecipanti al campionato di serie'.